giovedì 31 gennaio 2008

L' INGLORIOSO "25 LUGLIO" DI ROMANO PRODI E LA NECESSITA' DI VOLTARE PER DAVVERO PAGINA IN ITALIA

"Dagli e dagli" o "Tanto tuonò che piovve", si potrebbe commentare. Fatto sta che il deleterio governo Prodi, già nato su una maggioranza che definire "risicata" suona un complimento, e poi più volte a rischio di cappottata specie sui più spinosi temi di politica estera, causa certe sue componenti radicali chiaramente non ancora mature per gestire razionalmente le più delicate situazioni politico-militari che il complicato scenario internazionale odierno impone, dopo quasi due anni di "potere" è caduto.
Si tratta di quello che era praticamente scontato che, prima o poi, avvenisse, ma è significativo che questa crisi non sia arrivata, alla fine, dalle summenzionate frange più estreme della coalizione di governo, bensì proprio da "moderati" per antonomasia della stoffa di Mastella, Dini e Fisichella, cioè da quelle forze relativamente alle quali meno si può parlare di eccessiva "disomogeneità" rispetto alla componente dominante di centro-sinistra dell'ex maggioranza (oggi P.D.) per spiegarne il clamooso gesto di rottura, di quegli elementi, tanto per intenderci, che mai avevano fatto temere di costituire un pericolo per la tenuta del governo quando si era trattato, ad esempio, di sostenere le missioni militari all'estero e in tutte le passate situazioni di forte rischio di caduta per l'esecutivo Prodi.
Tale apparente "anomalia" nell'accaduto può forse facilmente spiegarsi con il fatto che personaggi come i promotori della presente crisi si collocano in quella sorta di area di confine tra i due schieramenti del nostro sistema politico imperfettamente bipolare, dalla quale rimane tutto sommato più agevole il passaggio disinvolto da una parte all'altra di detto poroso confine a seconda dell'opportunità del momento (nè, del resto, i signori in questione sono nuovi a simili esperienze, avendo già tutti in passato militato nel centro-destra), mentre invece, per aree come la sinistra antagonista, ben difficilmente potrebbero schiudersi possibilità di governare al di fuori di una coalizione come quella appena andata in pezzi, sicchè è comprensibile il loro pensarci non dieci, ma cento volte, al di là dell'abbaiare di rito, prima di compiere irreparabili mosse autodistruttive. E' comunque un dato di fatto che il 24 gennaio di Prodi assume sinistramente i connotati di un 25 luglio '43 di mussoliniana memoria, con il Capo del Governo che vuole a tutti i costi andare incontro al giudizio del suo "Gran Consiglio", ben sapendo che questo gli sarà fatale, e si fa sfiduciare proprio dagli accoliti dai quali meno ci si poteva aspettare la pugnalata mortale; se poi si aggiungono i brindisi e le plateali manifestazioni di giubilo per la caduta del "tiranno", quali non se ne ricordavano da chissà quando, il quadro delle analogie è ancora più completo.
Premesso che, a cose fatte, la gioia per la caduta di uno dei peggiori governi della storia della Repubblica - il governo delle tasse, delle figuracce con l'estero, dell'emergenza sicurezza ecc. - non può dirsi che pienamente condivisibile, si deve tuttavia anche ammettere che a tale soddisfazione si acompagna una punta di amarezza per il modo in cui questa "liberazione" è stata conseguita e, soprattutto, per il patetico spettacolo dei tentativi di riattaccare con lo sputo i cocci di un giocattolo ormai irrimediabilmente rotto - o, peggio, di dar vita a qualcosa d'altro di assolutamente estraneo a qualsiasi volontà mai espressa dagli elettori - cui l'attribuzione al Presidente del Senato Marini del cosiddetto incarico "finalizzato" ci farà presumibilmente assistere nei prossimi giorni.
Pur fautori della più tenace opposizione all'esecutivo appena caduto, non si può non rilevare che, passando per un momento dal caso particolare al generale, se i governi continuano a cadere prima della loro scadenza naturale, e con i soliti metodi da 25 luglio, è perchè, sotto sotto, esiste un malessere di fondo ancora peggiore del fatto in sè che, per cinque anni, a governare la Nazione non siano i "nostri": qui si tratta di una sconfitta per quanti, di qualsiasi appartenenza plitica, ritengono assolutamente primario l'obettivo di costruire un sistema finalmente basato sulla vera alternanza al potere di governi che, avendo stabilità e capacità per durare un'intera legislatura, come succede praticamente in tutte le democrazie evolute dell'Occidente, abbiano il modo di portare a compimento i loro programmi e di dare un'immagine di credibilità del Paese anche sul piano interazionale.
Tornando alla cruda attualità, non vogliamo certo entrare nel merito della decisione del Presidente della Repubblica di agire come ha agito: ciò gli è, e sempre gli sarà, consentito fino ad eventuali mutamenti parecchio radicali della Costituzione. Non ci si può però esimere dall'osservare che il tentativo Marini di ricompattare la vecchia maggioranza - o di crearne di nuove, che sarebbero oltremodo irrispettose della volontà degli elettori, per riformare la legge elettorale - ad occhio e croce non sembra avere concrete possibilità di successo e parrebbe utile soltanto a fare perdere del tempo prezioso, mentre invece le condizioni per una maggioranza sicura di centro-destra in seguito a nuove elezioni, probabilmente, sussistono anche considerata la non eccellentissima legge elettorale attualmente in vigore. La parola torni dunque alle urne il più presto possibile, dopo di che ci sarà senz'altro modo di riformare questa ed altre leggi e, auguriamocelo vivamente, di compiere sempre maggiori passi avanti verso l'edificazione di quella democrazia sana, compiuta e funzionante che tutti vogliamo e che, al momento, non appare purtroppo ancora vicinissima.
Così potremo davvero archiviare tutti i 25 luglio della nostra Storia in un buio periodo da non riesumare.
Tommaso Pellegrino

giovedì 17 gennaio 2008

MA QUANTO E' RIDICOLO QUEL CERTO ANTICLERICALISMO...

L'intolleranza e l'antidemocraticità dimostrate da quel pugno di sedicenti dotti professoroni e dal loro degno discepolame nell'impedire a papa Benedetto XVI di intervenire alla solenne cerimonia presso la loro università, che, malgrado l'accaduto, ci si ostina ancora a chiamare "la Sapienza" (???), sono per lo meno pari allo sconcertante patetismo e all'anacronismo di quel certo modo di essere anticlericali e di intendere la laicità sfoderati in questa ben poco edificante vicenda.
Oggi l'anticlericalismo come logica conseguenza del libertarismo, dela genuina aspirazione ad una vita civile regolata da leggi ed istituzioni svincolate dai dettami e dalle autorità proprie di una data religione, può senz'altro dirsi che non abbia più ragione d'essere almeno da oltre mezzo secolo a questa parte ed in questa parte del mondo.
Un liberalaccio fino al midollo come chi scrive non può naturalmente non comprendere, ad esempio, le ragioni di un anticlericalismo risorgimentale, inteso come rigetto del potere temporale di un clero che allora intralciava il processo di democratizzazione e di unità nazionale, ma si trattava qui di un sentimento ben diverso dall'ostilità verso la missione nel campo spirituale e morale di una Chiesa, che è di sua stretta competenza, diversamente dalle funzioni temporali. Basti pensare che proprio uno dei maggiori tra quegli stessi "anticlericali" sfegatati dell'epoca, un certo Giuseppe Mazzini (scusate se è poco), dichiarava di provare per gli atei una grande pena, segno che la sua non era avversione al messaggio diffuso dal clero nelle sue funzioni "istituzionali", bensì agli abusi perpetrati dallo stesso in ambito "terreno".
Oggi non esiste più un reale potere politico nelle mani dei vertici ecclesiastici, nè una loro possibilità di ingerire pesantemente nella vita delle democrazie tramite l'operato di forti partiti-longa manus disciplinatamente assoggettati alle loro direttive.
Accusare la Chiesa di interferire nella vita politica nazionale, o definire spregiativamente il papa "capo di uno stato estero", sono atteggiamenti oggi quanto meno ridicoli: il Pontefce non ha la minima intenzione di pilotare in alcun modo l'attività dei nostri legislatori, nè avrebbe i mezzi per farlo, tant'è vero che questa è sempre andata avanti indipendentemente da ogni suo auspicio o dissenso. Quanto poi a cosituire una minaccia come "capo di uno stato estero", gli mancano quelle divisioni di cui Stalin si chiedeva quante fossero e, se anche le avesse, non le userebbe: è uomo di pace, il papa, talmente di pace da prestarsi troppo spesso, involontariamente, ad essere sfruttato persino dai soliti pseudopacifisti ed elementi da sbarco vari, di fatto distanti anni luce dal suo vero universo di valori, e magari pronti a dargli addosso non appena qualche altro suo intervento non torni altrettanto comodo ai loro quasi mai cristallini fini.
Posto che la Chiesa non può costituire in alcun modo un pericolo per la libertà, la laicità e la democraticità delle istituzioni, non si può tuttavia pretendere che essa rinunci alla sua autentica ed unica missione di esortare continuamente al rispetto dei valori di cui è custode, e che lo faccia con tutti i mezzi a sua disposizione. Metterle, in qualsasi occasione, il bavaglio sarebbe, oltre che un intollerabile affronto alla libertà di espressione che va riconosciuta a chiunque, un passo avanti verso forme di intolleranza religiosa tipiche di ben noti sistemi illiberali, che sono l'esatto opposto delle vere società laiche.
Tommaso Pellegrino