venerdì 29 maggio 2015

CONTRE NOUS DE LA TYRANNIE L'ETANDARD SANGLANT EST LEVE'

   Continua, tra alti e bassi (ahimè, per ora verrebbe quasi da dire più alti per gli uomini del Califfato e bassi per la coalizione che li combatte che non viceversa), la terribile lotta in Medio Oriente tra l'esercito di tagliagole del sedicente Stato Islamico (ISIS) e quanti, tra combattenti locali rischianti effettivamente la pelle sul terreno e loro alleati internazionali restii ad impegnarsi oltre l'asettica pratica dei bombardamenti aerei selettivi di dubbia efficacia militare (malgrado il raggiungimento di qualche buon risultato, come l'uccisione o il ferimento di importanti leaders nemici), gli contendono il controllo delle zone inevitabilmente destinate alle pene dell'inferno, qualora cadute nelle mani degli invasati del Califfo.
   Ora, sembra che le priorità nell'immediato siano la riconquista di Ramadi, in Iraq, e quella di Palmyra, in Siria, quest'ultima al centro anche di forti preoccupazioni internazionali per la sorte che potrebbero subire le preziose rovine della città antica, data la nota sensibilità jihadista verso simili meraviglie archeologiche patrimonio dell'Umanità.
   Una nostra personalità politica di primo piano ha osservato, in questi giorni, che per battere l'ISIS non può bastare la sola forza militare, ma è necessario innanzi tutto che l'Iraq si comporti come un Paese unito e democratico contro quella minaccia, il che, però, è più o meno come dire che è necessario che Babbo Natale esista: non si può infatti obiettivamente ignorare quale unità tra tutte le etnie e religioni presenti e quale democrazia regnino nello Stato irakeno costruito sotto l'egida delle potenze che avevano abbattuto il dispotico regime di Saddam Hussein, e quanto si presenti di fatto impossibile, al momento, apportare significative correzioni a tale situazione.
   L'ISIS ha del resto messo a segno i suoi colpi e i suoi successi appunto laddove maggiormente lo Stato ufficiale si presentava debole, o fortemente in crisi, o addirittura quasi inesistente: nell'Iraq uscito dalla guerra e dall'occupazione americane, con strutture istituzionali ancora fragili, forti rivalità etnico-religiose, forze armate non ancora al top e chissà in quale misura motivate; nella Siria già da tempo tormentata da una tremenda guerra civile contro una dittatura pluridecennale; infine nella Libia del dopo "primavera araba", caduta praticamente nel caos in seguito alla dissoluzione del regime del colonnello-beduino Gheddafi.
   La stessa riconquista di Ramadi da parte dlle forze irakene, ad esempio, potrebbe essere resa più difficile dal fatto che i suoi abitanti sono musulmani di fede sunnita, e potrebbero, anche non condividendo l'estremismo dell'ISIS, opporsi ai militari regolari di Baghdad inviati a liberarli per il solo essere questi in massima parte sciiti, e quindi percepiti come una "minaccia", per la loro esistenza, addirittura ancora maggiore di quella rappresentata dai correligionari tagliagole.
   Questo per quanto riguarda le forze direttamente impegnate sul terreno, ma chiarezza nei rapporti reciproci, compattezza ed unità d'intenti non sono maggiori neppure tra gli attori internazionali più significativamente coinvolti negli sforzi per ovviare all'emergenza: come fa notare anche il professore della Costal Carolina University Joseph Fitsnakis, specialista in intelligence ed antiterrorismo, gli Stati Uniti, che tra l'altro non intendono inviare di nuovo soldati di terra in Medio Oriente, dopo aver fatto tanto per sganciarsi dall'Iraq, non sono molto in sintonia con il principale nemico dell'ISIS, che è l'Iran, il quale è guardato con diffidenza anche dall'Arabia Saudita per l'eccessivo peso che esso verrebbe ad avere nella regione in caso di vittoria sul Califfato, ed anche la Turchia vorrebbe vedere l'ISIS sconfitto, ma al tempo stesso ce l'ha pure con i curdi, che fronteggiano i jihadisti appoggiati dall'Iran.
   Insomma, un bel pasticcio dal quale non si riesce ancora ad intravedere una possibilità di uscita definitiva, mentre sembra certo che tanto sangue innocente sia ancora destinato ad essere versato nelle terre che gli ossessi del Califfo continuano ad ingoiarsi, avvantaggiati dai dubbi e dalle rivalità interne al fronte dei loro avversari.
   "Contre nous de la tyrannie l'étandard sanglant est levé", si cantava sulle note della Marsigliese, lo stendardo sanguinante della tirannia è alzato contro di noi.
   Ed era da molto tempo che una tirannia così sanguinaria ed internazionalmente pericolosa come quella che si ammanta di quelle bandieracce nere non si vedeva fiorire sotto il sole.
   Speriamo che ci se ne renda conto prima che sia troppo tardi.
Tommaso Pellegrino