tag:blogger.com,1999:blog-20524548706403492242024-03-06T00:32:15.967-08:00storia e storieIl blog di Tommaso PellegrinoTommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.comBlogger38125tag:blogger.com,1999:blog-2052454870640349224.post-44596445016304410662015-07-04T07:20:00.000-07:002015-07-04T07:20:21.275-07:00LAUDATO SI', MI' SIGNORE, PER FRATE VERME Papa Francesco ha recentemente reso pubblica la "Laudato si", la prima enciclica del suo Pontificato recante unicamente la sua firma (quella precedente era infatti stata una sorta di lavoro "a quattro mani" con l'emerito Benedetto XVI) ed il tema scelto è stato, principalmente anche se non solo, quello dell'ecologia e della salvaguardia dell'ambiente, ovvero il terreno sul quale, come forse su nessun altro, si sono mescolate e sovrapposte tesi scientifiche più o meno attendibili e strumentalizzazioni politiche, al punto tale da dare luogo, non di rado, a quadri complessivi di sconcertante confusione. Qui di seguito ci sforzeremo di analizzare almeno i punti più salienti del documento, quelli andati maggiormente soggetti ad elogi o critiche, senza mai timore nè intenzione di venire meno al rispetto dovuto da ognuno, e dai cattolici in particolare, verso Colui che rimane sempre, fino a prova contraria (peraltro difficilissima da produrre) e con buona pace di taluni ambienti, Sommo Pontefice e Vicario di Cristo legittimo sia "materialmente" che "formalmente"; questo anche nel muovere gli appunti che si riterrà opportuno muovere a taluni passi di questo suo lavoro.<br />
Si è comprensibilmente tanto criticata, in primo luogo, la preoccupazione che sembra attanagliare il Papa, ad esempio, per la sorte di "alghe, vermi, piccoli insetti e rettili", quando l'attualità che viviamo è travagliata da tragedie, materiali e spirituali, ben più rilevanti: dalle persecuzioni ed uccisioni di tanti cristiani ad opera di barbari fanatici alla crisi della Fede e alla diffusione del peccato anche nel nostro mondo opulento, con il serio rischio della rovina di tante anime.<br />
Si è sottolineato che tanto ardore ecologista, tanto scendere nei particolari nel raccomandare persino minuti comportamenti pratici da provetti ambientalisti ("evitare l'uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, [...], utilizzare il trasporto pubblico, [...], spegnere le luci inutili"), rischi di far sembrare l'enciclica più un manuale di buon comportamento civico che non un documento pontificio, e la Chiesa che l'ha emanata una Chiesa che ha dimenticato, o almeno ha relegato in secondo piano, la sua missione primaria, che è quella della salvezza delle anime (e "il bene soprannaturale di uno solo è superiore al bene naturale di tutto l'universo" afferma San Tommaso d'Aquino), a tutto vantaggio della promozione di stampo umanista di una "salvezza" ormai puramente terrena.<br />
Particolarmente duro nelle sue obiezioni è stato il noto scrittore cattolico Antinio Socci, il quale, respingendo ogni paragonabilità delle bergogliane lodi a "frate verme" al francescano (di San Francesco d'Assisi) "Cantico delle Creature", evidenzia le intenzioni del Poverello di lodare, con tale sua opera, Dio e proclamare la bontà del Creato, in tempi in cui i Catari, riprendendo le antiche tesi gnostiche, consideravano appunto il Creato come un male. Non, dunque, una "performance" da ecologista, quella di Francesco d'Assisi - in un'epoca in cui, peraltro, non era neppure concepibile esserlo, essendo allora l'uomo a subire la natura e non viceversa - ma un brano poetico al centro del quale vi è la salvezza dell'anima e che si conclude mettendo in guardia dal morire in peccato mortale, meritando così l'Inferno.<br />
Invece, sostiene Socci, "nel bergoglismo non si trovano nè il 'peccato originale', nè i peccati mortali, nè il Purgatorio, nè l'Inferno. Eppure la dottrina cattolica afferma che 'la salvezza delle anime è la suprema legge della Chiesa'. La sola cosa che conta". Quindi, lo scrittore passa a spiegare come già la Genesi conferisca all'uomo la regalità sull'Universo, mentre le moderne dottrine ecologiste, che il Papa sembrerebbe sposare nella "Laudato si", ma che sono sinora sempre state avversate dalla Chiesa, rovesciano questa gerarchia di valori mettendo l'uomo sullo stesso piano degli altri esseri viventi, quando va bene, o considerandolo addirittura, nei casi più estremi, un "cancro" per il pianeta. "Lo scopo finale delle altre creature non siamo noi" scrive Francesco al punto n. 83 del documento; la "Gaudium et spes" afferma invece che "tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all'uomo come suo centro e a suo vertice".<br />
Ora, non crediamo certo che una non maniacale dedizione alla cura e al rispetto del pianeta affidatoci sia da sottovalutare o peggio condannare, anzi...Nessuno nega, ad esempio, che ciascuno di noi sia "sovrano" sulla propria automobile e non un semplice pezzo di essa, ma chi le farebbe mai mancare la diligente manutenzione, i tagliandi, l'attenzione allo stato delle gomme o i cambi d'olio al momento giusto? E' per questi motivi che non ci sentiamo, dopotutto, di condividere appieno i commenti troppo severi sui richiami in proposito del Pontefice. Il punto cruciale è però la necessità di distinguere tra un "ecologismo" non politicizzato nè ideologizzato, mirante alla semplice tutela dell'habitat naturale sulla base di criteri esclusivamente scientifici ed oggettivi, del quale siamo tutti fautori, da "scuole di pensiero" politicamente marchiate, dal sapore neopagano e decise a rimanere alla ribalta dell'attenzione pubblica e a conseguire i propri fini anche dando per scontate quelle che sono soltanto ipotesi dalla validità scientifica non ancora accertata, come quella della causa umana del riscaldamento globale; ed è difficile negare che, manifestando appunto, in taluni passi, eccessiva vicinanza a queste ultime, dando troppa importanza ai comportamenti materiali, anche perdendosi in banali minuzie, come abbiamo visto all'inizio, e dandone invece troppo poca alla dimensione teologica del problema (la prima "rovina dell'ambiente" fu quella dell'Eden dovuta al peccato originale; cambiamenti climatici ed altri fenomeni del genere andrebbero anche inquadrati nella signoria di Dio e nella sua eventuale volontà di castigare), l'enciclica sembri dare l'impressione di una Chiesa sempre più in via di mondanizzazione e di neopaganizzazione, nonchè abdicante alla propria missione spirituale primaria.<br />
Per contro, non possiamo neppure ignorare le lodevoli prese di distanze del Pontefice da alcuni capisaldi di correnti di pensiero strettamente collegate a queste forme di ecologismo ideologico ed areligioso, palesemente in contrasto con l'insegnamento tradizionale della Chiesa, come, ad esempio, la tesi sulla necessità di drastiche politiche di controllo delle nascite in quanto un'eccessiva popolazione sarebbe tra le cause principali della questione ambientale (e qui si ritorna al concetto dell'uomo "cancro" anzichè re del pianeta), in particolare sottolineando l'incompatibilità di una sana lotta a vantaggio dell'ambiente con la giustificazione dell'aborto, o quella a sostegno degli esperimenti indiscriminati con embrioni umani vivi.<br />
Ammirevole è poi la denuncia di Francesco dell'odierna presunzione di onnipotenza della tecnica, la cosiddetta tecnocrazia, predominante anche sulla politica e sull'economia, le quali è invece necessario che "si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana".<br />
Qualche perplessità in più, infine, possono sollevare le conclusioni dell'enciclica sui temi finanziari ed economici, che tocca accanto a quelli più strettamente ecologici.<br />
Sostanzialmente bene fa il Papa a denunciare la perniciosità dell'affermarsi di un eccessivo individualismo e consumismo nella società moderna, di una sopravvalutazione del mercato da "mezzo" a "fine", capace di risolvere tutti i problemi di fame, miseria e sociali semplicemente con la propria "crescita", dei pasticci creati da una finanza non sufficientemente regolamentata ecc.<br />
A nostro parere, possono però essere fonte di qualche dubbio sulla loro coerenza con il Magistero da sempre portato avanti dalla Chiesa in materia le affermazioni del Pontefice riguardo al diritto di proprietà privata. D'accordo che questo è sempre stato considerato dalla Tradizione cattolica come strettamente legato ad una sua certa funzione sociale, ma se ne è pure sempre affermata con forza l'inviolabilità contro qualsiasi pretesa di spoliazione arbitraria, fosse anche per scopi di presunta giustizia sociale, mentre i toni e le parole usati da Francesco, forse eccessivamente enfatici su una proprietà definita "non intoccabile", sembrerebbero invece, anzichè suonare quale un giusto invito per gli abbienti al retto impiego non egoistico delle loro sostanze, secondo quanto in ogni tempo predicato dalla Chiesa, quasi ventilare che possano essere in qualche caso ammissibili azioni di esproprio forzato come avvenuto in certe epoche e zone del mondo che non è qui il caso di ricordare nel dettaglio, i cui risultati storici disastrosi tutti conosciamo, con tanti saluti all'insegnamento controrivoluzionario e paladino della difesa dell'ordine naturale delle cose e della pace sociale portato avanti in duemila anni di Cristianesimo.<br />
Un'enciclica, la "Laudato si", dunque carica di luci ed ombre, perfettamente nello stile di un Santo Padre che, sin dalla sua ascesa al Soglio, ha alternato momenti di grande coerenza dottrinale ed equità ad altri capaci di sollevare enormi punti interrogativi.<br />
Tommaso Pellegrino<br />
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Tommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-2052454870640349224.post-19161828428916984772015-05-29T06:56:00.000-07:002015-05-29T06:56:04.651-07:00CONTRE NOUS DE LA TYRANNIE L'ETANDARD SANGLANT EST LEVE' Continua, tra alti e bassi (ahimè, per ora verrebbe quasi da dire più alti per gli uomini del Califfato e bassi per la coalizione che li combatte che non viceversa), la terribile lotta in Medio Oriente tra l'esercito di tagliagole del sedicente Stato Islamico (ISIS) e quanti, tra combattenti locali rischianti effettivamente la pelle sul terreno e loro alleati internazionali restii ad impegnarsi oltre l'asettica pratica dei bombardamenti aerei selettivi di dubbia efficacia militare (malgrado il raggiungimento di qualche buon risultato, come l'uccisione o il ferimento di importanti leaders nemici), gli contendono il controllo delle zone inevitabilmente destinate alle pene dell'inferno, qualora cadute nelle mani degli invasati del Califfo.<br />
Ora, sembra che le priorità nell'immediato siano la riconquista di Ramadi, in Iraq, e quella di Palmyra, in Siria, quest'ultima al centro anche di forti preoccupazioni internazionali per la sorte che potrebbero subire le preziose rovine della città antica, data la nota sensibilità jihadista verso simili meraviglie archeologiche patrimonio dell'Umanità.<br />
Una nostra personalità politica di primo piano ha osservato, in questi giorni, che per battere l'ISIS non può bastare la sola forza militare, ma è necessario innanzi tutto che l'Iraq si comporti come un Paese unito e democratico contro quella minaccia, il che, però, è più o meno come dire che è necessario che Babbo Natale esista: non si può infatti obiettivamente ignorare quale unità tra tutte le etnie e religioni presenti e quale democrazia regnino nello Stato irakeno costruito sotto l'egida delle potenze che avevano abbattuto il dispotico regime di Saddam Hussein, e quanto si presenti di fatto impossibile, al momento, apportare significative correzioni a tale situazione.<br />
L'ISIS ha del resto messo a segno i suoi colpi e i suoi successi appunto laddove maggiormente lo Stato ufficiale si presentava debole, o fortemente in crisi, o addirittura quasi inesistente: nell'Iraq uscito dalla guerra e dall'occupazione americane, con strutture istituzionali ancora fragili, forti rivalità etnico-religiose, forze armate non ancora al top e chissà in quale misura motivate; nella Siria già da tempo tormentata da una tremenda guerra civile contro una dittatura pluridecennale; infine nella Libia del dopo "primavera araba", caduta praticamente nel caos in seguito alla dissoluzione del regime del colonnello-beduino Gheddafi.<br />
La stessa riconquista di Ramadi da parte dlle forze irakene, ad esempio, potrebbe essere resa più difficile dal fatto che i suoi abitanti sono musulmani di fede sunnita, e potrebbero, anche non condividendo l'estremismo dell'ISIS, opporsi ai militari regolari di Baghdad inviati a liberarli per il solo essere questi in massima parte sciiti, e quindi percepiti come una "minaccia", per la loro esistenza, addirittura ancora maggiore di quella rappresentata dai correligionari tagliagole.<br />
Questo per quanto riguarda le forze direttamente impegnate sul terreno, ma chiarezza nei rapporti reciproci, compattezza ed unità d'intenti non sono maggiori neppure tra gli attori internazionali più significativamente coinvolti negli sforzi per ovviare all'emergenza: come fa notare anche il professore della Costal Carolina University Joseph Fitsnakis, specialista in intelligence ed antiterrorismo, gli Stati Uniti, che tra l'altro non intendono inviare di nuovo soldati di terra in Medio Oriente, dopo aver fatto tanto per sganciarsi dall'Iraq, non sono molto in sintonia con il principale nemico dell'ISIS, che è l'Iran, il quale è guardato con diffidenza anche dall'Arabia Saudita per l'eccessivo peso che esso verrebbe ad avere nella regione in caso di vittoria sul Califfato, ed anche la Turchia vorrebbe vedere l'ISIS sconfitto, ma al tempo stesso ce l'ha pure con i curdi, che fronteggiano i jihadisti appoggiati dall'Iran.<br />
Insomma, un bel pasticcio dal quale non si riesce ancora ad intravedere una possibilità di uscita definitiva, mentre sembra certo che tanto sangue innocente sia ancora destinato ad essere versato nelle terre che gli ossessi del Califfo continuano ad ingoiarsi, avvantaggiati dai dubbi e dalle rivalità interne al fronte dei loro avversari.<br />
"Contre nous de la tyrannie l'étandard sanglant est levé", si cantava sulle note della Marsigliese, lo stendardo sanguinante della tirannia è alzato contro di noi.<br />
Ed era da molto tempo che una tirannia così sanguinaria ed internazionalmente pericolosa come quella che si ammanta di quelle bandieracce nere non si vedeva fiorire sotto il sole.<br />
Speriamo che ci se ne renda conto prima che sia troppo tardi.<br />
Tommaso Pellegrino<br />
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<br />Tommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2052454870640349224.post-12650401232284943722015-01-12T06:41:00.000-08:002015-01-12T06:41:00.984-08:00PARIGI BRUCIA? Parigi brucia? La domanda, che coincide con il titolo di un famoso vecchio film sugli ultimi giorni di occupazione nazista della capitale francese prima della liberazione dell'agosto '44, allorchè Hitler dispone che la città sia interamente incendiata, e che è appunto quella che il dittatore tedesco stesso rivolge al governatore militare germanico Von Choltitz per accertarsi che tale ordine sia stato eseguito (per fortuna non lo è stato), è venuta in mente spontanea in questi giorni di sangue sotto la Tour Eiffel, che hanno visto, nell'ordine, una strage di vignettisti nella sede di un giornale satirico, un'altra sparatoria per strada, con una poliziotta rimasta uccisa, l'asseragliamento degli assassini dei vignettisti in una tipografia poco fuori Parigi, con conseguenti lungo assedio ed uccisione finale degli stessi da parte delle "teste di cuoio" francesi e, per finire, altro barricamento, con presa di ostaggi, di un terrorista in un supermercato ebraico della capitale ed ennesimo epilogo della vicenda nel sangue (quello del terrorista).<br />
La strage di dodici vittime, tra vignettisti ed altre persone presenti, nella sede del giornale "satirico" "Charlie Hebdo" il 7 gennaio, ad opera di individui bene armati ed apparentemente bene addestrati, al grido ormai tristemente familiare di "Allah u akbar", ha lasciato esterefatta l'opinione pubblica come una sorta di nuovo "11 settembre" europeo. C'è stato chi ha detto che i redattori del settimanale satirico se la sarebbero addirittura "cercata", in quanto il bliz terrorista giungeva in risposta ad alcune vignette estremamente irriguardose (anzi, diciamolo, blasfeme) nei confronti dell'Islam e del suo "Profeta" da essi pubblicate.<br />
In effetti, è impossibile non riconoscere, con tutto il rispetto per dei morti che mai comunque avrebbero meritato un simile destino, che "Charlie Hebdo" era, ed è, un giornalaccio non di critica civile, nè di satira intelligente, conscio di quali siano i limiti, se non altro di buon gusto, da possibilmente non superare, ma di sparo a zero alla cieca contro tutto e tutti, non di rado con una volgarità ben difficilmente egualiabile ed un'offensività blasfema contro tutte le religioni anch'essa con poca concorrenza sulla piazza, nella più totale ignoranza anche dell'elementarissima regola della "tua libertà che finisce dove inizia quella degli altri".<br />
Che la libertà di espressione (intendiamoci, essenziale ed irrinunciabile pilastro di ogni vera democrazia) sia proprio assoluta, che cioè non trovi limiti neppure nel diritto a non essere offesi nelle proprie sensibilità più sacre, religiose, patriottiche o morali, mi pare evidente che non sia ammissibile.<br />
Di offendere gravemente il sentimento religioso altrui di qualunque fede, in particolare, nessuno può poi rivendicare il diritto: se esso è autentico (così è, almeno, nel caso dei cattolici, ma penso anche delle altre fedi), non dimentichiamoci che riguarda la devozione verso un Essere Superiore che il credente pone addirittura al primo posto nella propria vita, prima degi stessi propri cari e di qualsiasi altro soggetto terreno. Giusto sarebbe quindi che la bestemmia fosse reato (un tempo, in Italia, lo era, ora non so se lo sia ancora, ma, qualora più non lo fosse, si trattrebbe di un grave passo indietro della civiltà e non certo in avanti, come qualche "libertario" dei miei stivali probabilmente sosterrebbe), giuste ogni protesta e denuncia cattoliche (per quel che possano servire) per le vignette vergognosamente blasfeme contro quanto a noi vi è di più sacro, e giustissima, ed appoggiabile tranquillamente da parte di ogni persona di buon senso anche non seguace di quel credo, sarebbe stata qualsiasi iniziativa o dimostrazione legale e pacifica dei fedeli musulmani contro "vignette" anti-islamiche che hanno decisamente passato ogni limite della scusabilità e della decenza, come quella che dichiarava essere il Corano, senza mezzi termini, fatto di m...<br />
Sbagliato, sbagliatissimo, anzi disumano ed orrendo, è stato invece reagire a simili offese con lo sterminio fisico dei responsabili, il cui innegabile "coraggio" per essersela presa, sul loro fogliaccio, non soltanto con i sempre imbelli e menefreghisti cattolici, il che non comporta notoriamente alcun rischio, ma anche con i seguaci di Maometto, i quali, si sa, un po' di suscettibilità in più ce l'hanno, ha fatto di essi i martiri ideali in nome della libertà di satira (beninteso essenziale, quando intelligente e di buon gusto), dando un completo colpo di spugna sui loro passati comportamenti non sempre proprio nobili, di fronte allo choc di una simile tragedia, che non può in ogni caso trovare giustificazioni e che getta nell'ansia e nella paura, per la piega che potrebbero prendere i fatti, un'intera Nazione ed il mondo intero.<br />
Parigi ha bruciato per un paio di giorni; il pericolo che possa farlo ancora, o che nuovi "incendi" possano interessare altri luoghi , dentro o fuori la Francia, è concreto. Analizzare cause di ciò e possibili ricette per evitare altre tragedie sarebbe troppo lungo e soprattutto troppo arduo. Importante sarebbe che la si smettesse con le solite trite e ritrite retoriche e luoghi comuni su integrazioni, Islam "moderato", Islam "religione di pace" contrapposta a terroristi che non avrebbero nulla ache fare con essa. E si prendessero invece seriamente in considerazione elementi come lo stato in cui hanno finito per ridursi il nostro senso di appartenenza europea ed occidentale ed il nostro orgoglio per le radici cristiane, come i disagi dei nostri giovani di fronte ad una società forse non più in grado di dar loro ciò di cui sentono veramente il bisogno, come possibili strategie autenticamente efficaci per porre fine all'immane dramma che si sta consumando in Medio Oriente senza che si profili ancora all'orizzonte una qualche soluzione<br />
Sarebbe già un bel passo in avanti, o almeno no indietro.<br />
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Tommaso Pellegrino<br />
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Tommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-2052454870640349224.post-88169641330165704712014-11-20T07:45:00.000-08:002014-12-01T06:01:28.725-08:00TERRORISTI "DELLA PORTA ACCANTO": PERCHE' UNA SMILE SCELTA? Sono migliaia, ormai è accertato, gli uomini provenienti da paesi lontani dal teatro degli scontri arruolatisi nello spietato esercito dell'ISIS, il sedicente "Stato islamico" che combatte per invadere ampi territori di Iraq e Siria, terrorizzando ed uccidendo chi incontra sulla propria strada, decapitando prigionieri ed imponendo conversioni all'Islam (beninteso il "loro" Islam) o perpetrando altri tipi di soprusi.<br />
Sono migliaia, e la stragrande maggioranza di essi è partita dall'Europa o dal Nord America o da aree comunque appartenenti al "primo mondo" ricco, sviluppato e, in teoria, "cristiano". Si tratta per lo più di immigrati di seconda o terza generazione da paesi islamici, o addirittura di occidentali "doc" passati armi e bagagli con i peggiori nemici della loro stessa gente quasi inspiegabilmente, come questi due bei tomi di Nasser Muthana e Maxime Hauchard, rispettivamente un immigrato di seconda generazione nel Galles ed un autentico francese nato cattolico e poi convertitosi al credo di Allah nella versione ultraradicale praticata dall'ISIS; insomma: due classici giovani "della porta accanto" che diresti perfettamente integrati in questo mondo dell'opulenza (crisi o non crisi non saranno mai neppure lontanamente paragonabili le condizioni di vita in queste regioni della Terra con quelle di chi ne è fuori), di ogni sorta di diritto garantito, di condizioni di "pace" date quasi per scontate.<br />
Invece dobbiamo seriamente interrogarci su quali responsabilità possa avere proprio questa nostra bella "società" nello scattare di una simile molla nelle teste di giovani che ci sembrerebbe non potessero desiderare di meglio dalla vita e dall'ambiente in cui sono cresciuti.<br />
Naturalmente non sono mai giustificabili scelte criminali, nè si può negare che i paesi del cosiddetto "nord del mondo" rimangano comunque di gran lunga oggettivamente i migliori in cui nascere e vivere sotto ogni punto di vista, o che il benessere derivato dal progresso tecnologico e dalle possibilità di scelta sul mercato, così come le libertà individuali e i diritti civili garantiti dai sistemi liberali, siano beni di un valore inestimabile, checchè possano dirne i sognatori di utopistiche "decrescite" o di romantici ritorni a circostanze e stili di vita propri di un passato non più riproponibile.<br />
Tuttavia non bisogna neppure sottovalutare il rovescio di questa apparentemente irreprensibile medaglia: innanzitutto il materialismo, cosciente o meno, cui ci ha portato l'avere ormai superato, come società, ogni problema per il procacciamento di quanto primariamente necessario alla vita e quindi una continua tensione mirante solo alla ricerca del sempre più superfluo; la generale perdita del senso di appartenenza ad una grande civiltà, della conoscenza delle sue radici e del culto delle sue tradizioni, per appiattirsi su mode mentecatte fatte apposta per chi è disposto a rinunciare a far funzionare autonomamente ciò che gli riempie la scatola cranica, distinguendosi da una massa amorfa fatta solo per essere di fatto sottomessa e manovrata senza che essa stessa neppure se ne accorga. E poi la mancanza di scopi autentici e vitali per cui lottare, che ha portato noi popoli gonfi di benessere a soddisfare il bisogno fisiologico umano di combattere comunque sempre per qualcosa lanciandoci in "battaglie" deficienti come l'animalismo o l'ambientalismo esasperati e fanatici, mentre veri valori tradizionali sono andati persi di vista alla grande, nel rilassamento dei costumi generale e nel rammollimento in cui è inesorabilmente precipitata l'attuale società occidentale: il senso civico, il senso dell'autorità, della famiglia, della Patria, Patria che riassume poi il patrimonio comune di tutti noi, le nostre istituzioni e la nostra stessa libertà, circa i quali dobbiamo essere consci che sono sempre in potenziale pericolo e che vanno difesi con qualunque mezzo proporzionato alla minaccia; e invece tendiamo a credere che la "pace" sia un bene acquisito una volta per sempre e sembriamo ancora gli eredi di quei poveri di spirito (non in senso evangelico, e quindi non "beati") che, trenta e passa anni fa, starnazzavano "meglio rossi che morti", ovvero: meglio perdere la libertà e la dignità sotto i colpi di un invasore (all'epoca i "rossi", cioè i comunisti) piuttosto che difenderle con le unghie e con i denti, se occorre, in una giusta guerra di difesa (che, ovvio, qualche "morto" sul terreno mica può evitare di lasciarlo), come sarebbe nel più naturale e genuino ordine delle cose, tra uomini e popoli degni di tali nomi.<br />
A tutto questo decadimento, duole ammetterlo, ha contribuito non poco anche la stessa Chiesa cattolica, un tempo portabandiera fiero e sicuro dei valori religiosi, filosofici e morali che hanno fatto grande la civiltà dell'Occidente, ed oggi non più sempre altrettanto ferma nel sostenerli con uguale coerenza, assumendo troppe volte atteggiamenti non netti, fatti per piacere un po' a tutti, assecondanti quella rinuncia alla difesa virile della propria identità e dei propri eterni valori pur di non guastare un comodo e codardo quieto vivere, puramente materiale, con tutti, che ci illudiamo possa essere la vera condizione ottimale di vita, poichè, come scrive Roberto de Mattei, "chi professa l'ecumenismo e il pacifismo a oltranza dimentica che esistono mali più profondi di quelli fisici e materiali, e confonde le conseguenze rovinose della guerra sul piano fisico con le sue cause, che sono morali e risalgono alla violazione dell'ordine, in una parola a quel peccato che solo può essere sconfitto dalla Croce".<br />
A questo punto è doveroso chiedersi che può fare, e a quali pericoli può andare seriamente incontro, una persona, specie se giovane, che sentisse anche solo confusamente il disagio di appartenere ad una società in deficit di spiritualità, senza più punti di riferimento certi nè l'energia di operare fermamente per qualcosa in cui si crede. Semplice: rischia di approdare, per sfuggire ad un eccesso, all'eccesso opposto, se non è possibile una giusta ed equilibrata scelta di mezzo, vale a dire di lasciarsi alle spalle un contesto che non dà più alcuno spazio ad idealismo ed affermazione di un'identità per un altro che invece ne dà troppo.<br />
E' quello che hanno fatto questi figli che la nostra società ha cresciuto credendo che omogeneizzati, videogiochi e musica rock fossero tutto ciò di cui chi nasce nella parte più privilegiata del pianeta abbia bisogno; invece loro, ciò di cui sentivano davvero la mancanza, sono andati a cercarselo nel più tragico e distruttivo dei modi.<br />
A noi il compito di riflettere su quali siano le nostre responsabilità collettive per il punto a cui si è giunti, e su cosa si possa fare per porvi almeno parzialmente rimedio, qualora ancora si sia ancora in tempo.<br />
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Tommaso Pellegrino<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgzHLU97Y5RlUgfZ136kF8AMkQ1llTxr3NqHFSwGfCta5Nb6uigjGn3yN4xEC5F825v5ieoXsys3s03ABB4KQXmyXoTY36lsevZZ5ajmXPRYkEr7zMDL0Cbafqmhcp4U43jnOSgmgJ0V0mr/s1600/P1000147.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgzHLU97Y5RlUgfZ136kF8AMkQ1llTxr3NqHFSwGfCta5Nb6uigjGn3yN4xEC5F825v5ieoXsys3s03ABB4KQXmyXoTY36lsevZZ5ajmXPRYkEr7zMDL0Cbafqmhcp4U43jnOSgmgJ0V0mr/s1600/P1000147.JPG" height="240" width="320" /></a></div>
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<br />Tommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2052454870640349224.post-70283228812994712742014-08-29T01:20:00.001-07:002014-08-29T01:20:49.665-07:00CATTOLICESIMO E GUERRA Sono ancora i fatti tragici di cui ci giunge notizia, in questi giorni, dal Medio Oriente e soprattutto da Siria ed Iraq, fatti che presentano aspetti inediti, malgrado il prolificare di ogni sorta di conflitti, soprusi e violenze, da quelle parti, sia purtroppo una costante ormai da moltissimi anni, per via del tipo di minaccia che si è venuto a concretizzare, della sconvolgente brutalità delle azioni omicide e di pulizia etnica messe in atto e dal fatto che siano, per la prima volta da tempo, intere comunità cristiane a vedere a rischio la propria stessa esistenza fisica, a spingerci a qualche riflessione e precisazione su quali reazioni siano effettivamente da considerarsi lecite, ed anzi doverose, secondo l'autentica Dottrina cattolica tramandatasi nei secoli e non contestabile da nessuno che voglia mantenersi rigorosamente fedele agli insegnamenti della Chiesa, quali misure di difesa estreme in situazioni di pericolo eccezionali, nelle quali belle parole e preghiere assolutamente non possano più bastare.<br />
Il Cristianesimo nasce indubbiamente quale portatore di un rivoluzionario messaggio di perdono delle offese subite, di amore e di pace, in un'epoca in cui guerre di conquista, ribellioni violente e leggi del taglione, peraltro sanzionate dalle stesse religioni preesistenti, sono allegramente all'ordine del giorno. L'insegnamento del Cristo è invece di amare chi ci odia e di porgere l'altra guancia, il che, sebbene, sia chiaro, non voglia per nulla dire trasformarsi in imbelli rinunciatari all'affermazione della giustizia terrena e alla legittima difesa, costituisce pur sempre un fatto scioccante senza significativi precedenti e destinato a non essere molto ricalcato neppure dalle altre fedi che vedranno la luce in seguito, in particolare proprio da quell'Islam al centro della tragedia che si sta oggigiorno consumando: è appunto il libro sacro dei musulmani, il Corano, ad esempio, a prescrivere (IX,5): "Uccidete i politeisti, ovunque li troviate, (...), assediateli ed opponetevi ad essi, in tutte le loro imboscate".<br />
E non si tratta soltanto di "teoria" o di espressioni metaforiche: già lo stesso fondatore di quella religione, Maometto (e non, quindi, qualche suo successore d'epoca posteriore, che potrebbe anche avere travisato un diverso messaggio originario), prima di morire conquista a mano armata fior di territori e dissemina la sua strada di cadaveri. Ricordiamo tutti lo sbottare del compianto don Gianni Baget Bozzo, in una trasmissione televisiva di qualche anno fa, contro il bellimbusto di turno che intendeva spacciare la solita favoletta dell'Islam "religione di pace": "Basta! Non possiamo mettere sullo stesso piano il Cristianesimo, che è nato con i martiri, con l'Islam, che è nato con la spada in mano!".<br />
Fermi nei propri propositi, infatti, i cristiani muovono i loro primi passi all'interno dell'Impero Romano pagano: non rivestendo ancora nessuno di essi responsabilità politiche, possono permettersi di non porsi neppure il problema di eventuali guerre con altri popoli, offensive o difensive che siano, le quali rimangono, ovviamente, affari dell'Imperatore, mentre, allo scatenarsi delle persecuzioni, riguardo alle loro stesse persone, mettono eroicamente in pratica la nonviolenza evangelica avviandosi, per lo più inermi e sereni, incontro al martirio.<br />
Nell'anno 380, però, il Cristianesimo, già religione "lecita" e parecchio favorita sotto Costantino, diviene, con l'Imperatore Teodosio, addirittura religione di stato nonchè l'unica consentita entro i confini dell'Impero.<br />
Di fronte alla nuova responsabilità del governo della più grande potenza del mondo, non si può più ignorare il fatto che non è possibile escludere a priori che ci si possa trovare costretti ad affrontare, prima o poi, un conflitto armato, non fosse altro come "extrema ratio" contro aggressioni violente ed inique ed in difesa dei giusti.<br />
La Fede cristiana, come già detto, non ha mai negato a nessuno in alcuna delle sue fonti, a partire da quelle evangeliche, il diritto alla legittima difesa individuale o collettiva: nel 3° capitolo del Vangelo di Luca, ad alcuni soldati che gli chiedono cosa debbano fare per farsi battezzare, Giovanni Battista risponde di accontentarsi delle loro paghe e di non portare via soldi a nessuno con la violenza, non certo di cambiare mestiere in quanto quello del militare abbia qualcosa di sconveniente, e Cristo permette senza problemi che Pietro (come presumibilmente anche altri apostoli) porti una spada con sè. Nello stesso esercito della Roma pagana, poi, i cristiani non mancavano di certo e molti sono gli episodi di martirio di soldati rifiutatisi di sacrificare agli dei pagani o di compiere stragi, come nel caso della famosa "legione tebana" comandata da S. Maurizio.<br />
Sorge quindi l'esigenza di regolamentare teologicamente la materia "guerra", al fine di stabilire a quali condizioni questa possa considerarsi lecita e quali siano i limiti da non superare affinchè non si cada nell'infrazione della legge divina. Nel 19° libro della sua monumentale opera "De civitate Dei", scritta tra il 413 ed il 426, sullo sfondo di un Impero ormai sconvolto dalle invasioni barbariche, è il Padre della Chiesa S. Agostino a farlo, affermando che, quando aggressori ingiusti rompono il "tranquillitas ordinis" (cioè la pace internazionale) e mettono in pericolo un popolo, le autorità di questo popolo hanno il dovere di difenderlo e di operare per ripristinare le condizioni minime di un assetto internazionale regolato dal diritto, se necessario con la forza militare.<br />
Secoli dopo, S. Tommaso d'Aquino, nella sua "Summa theologiae", parla di una possibile "guerra giusta" a patto che: a) sia indetta da capi di stato e non da "privati" (moderno principio del monopolio statale dell'uso della forza); b) abbia una causa giusta, ovvero ripari ad ingiustizie; c) sia condotta con retta intenzione, con carità, senza crudeltà o cupidigia, per amore della pace e per soccorso ai buoni. Anche se guidata da una legittima autorità e per una giusta causa, una guerra può infatti divenire illecita se animata da intenzioni di sopraffazione e di conquista andanti oltre la semplice esigenza di difesa e di ristabilimento del diritto.<br />
Sono quelli anzidetti i principi che, in ogni tempo, devono informare la condotta dei cristiani di fronte all'eventualità di crisi che comportino anche l'imbracciare delle armi.<br />
Per venire ai nostri giorni, lo stesso Catechismo della Chiesa cattolica del 1997, citando la Costituzione "Gaudium et Spes", ancora una volta ribadisce che la legittimità morale di una guerra "spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune. Coloro che si dedicano al servizio della Patria nella vita militare sono servitori della sicurezza e delle libertà dei popoli. Se rettamente adempiono al loro dovere, concorrono veramente al bene comune della Nazione e al mantenimento della pace".<br />
La situazione mediorientale di questi giorni è tale da rendere straordinariamente attuale, come non lo era stato ormai da tanto tempo, il dibattito sui temi fin qui esaminati.<br />
Intrerrogato recentemente su cosa si possa e debba fare contro l'avanzata e la violenza cieca dell'ISIS sulle popolazioni travolte, Papa Francesco ha fornito risposte in termini forse troppo "prudenti", che hanno indignato molti, i quali avrebbero gradito da lui un linguaggio più esplicito e meno ambiguo. Personalmente amo pure io il parlare senza peli sulla lingua ed ho spesso rispettosamente disapprovato il "dire non dire", l'arrabattarsi nel tentativo di non dispiacere a nessuno tipico dello stile oratorio dell'attuale Pontefice, ma penso anche di capire la difficoltà che comporterebbe l'usare termini ormai decisamente troppo desueti, il parlare magari di "guerra giusta" ad un uditorio mondiale del 2014 non più preparato a ciò, nel quale non è prevedibile lo scompiglio che simili parole, sia pure pienamente appropriate e giustificate, potrebbero provocare, e credo che, tutto sommato, il Santo Padre non abbia dato risposte in contrasto con quanto prescritto dalla Dottrina tradizionale in fatto di reazioni militare legittime.<br />
In buona sostanza, Papa Francesco ha giudicato lecito "fermare" un aggressore ingiusto e violento come l'ISIS, ed ha sottolineato (con precisazione forse effettivamente non troppo felice) "fermare, non bombardare o fare la guerra". Va da sè, però, che un avversario come quello, che ti taglia la testa prima di chiederti come ti chiami, non lo puoi "fermare" se non con l'uso di qualche arma, ed inoltre il Ponteffice ha anche proposto di interessare della faccenda le Nazioni Unite (altra cosa che non è andata giù a molti, ma non è questa la sede per approfondire ciò) affinchè decidano loro i mezzi con i quali appunto "fermare" i terroristi; e quali mezzi potrebbero mai scegliere le Nazioni Unite, in una circostanza estrema simile, se non le armi?<br />
Quanto, infine, al non doversi "bombardare, fare la guerra", se non si decontestualizza questa frase dal discorso in cui è inserita, si rileva che, appena dopo, il Papa ha aggiunto: "Quante volte, sotto questa scusa di fermare l'aggressore ingiusto, le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto al guerra di conquista". Dunque, mi sembra chiaro che intendesse semplicemente mettere in guardia le potenze intervenenti dalla tentazione di "fare la guerra per la guerra", dal fare cioè dell'ineluttabilità dell'intervento contro l'ISIS il pretesto ed il punto di partenza per operazioni aggressive con obiettivi ben al di là del sacrosanto dovere di fermare l'aggressore e di annullarne le capacità offensive, anche con l'uso delle armi non oltre la misura necessaria, da tutti condiviso.<br />
Proprio quella forma di degenerazione di un'operazione originariamente giusta in una guerra di sopraffazione e di conquista che, abbiamo visto, viene bollata come illecita, prima di tutto, da S. Tommaso.<br />
Tommaso Pellegrino<br />
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<br />Tommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2052454870640349224.post-41839723297776534112014-08-14T03:46:00.002-07:002014-08-17T06:28:07.929-07:00IRAQ: UNA NUOVA-VECCHIA SFIDA PER IL MONDO E PER LA CRISTIANITA'<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjuocHuvIjGui6mNweOahTRSINStuJQPJjd6aQsWSqLrpbPuVBwl8F_wCrFZfE1bhm2t-R4f_uWBHNO_Gffhh7IM0gxUfLZamsfI0YAaQ6oirRqnXXoESQDM5ONCrjBjLYiVGZJhNGw26i3/s1600/P1000141.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjuocHuvIjGui6mNweOahTRSINStuJQPJjd6aQsWSqLrpbPuVBwl8F_wCrFZfE1bhm2t-R4f_uWBHNO_Gffhh7IM0gxUfLZamsfI0YAaQ6oirRqnXXoESQDM5ONCrjBjLYiVGZJhNGw26i3/s1600/P1000141.JPG" height="240" width="320" /></a></div>
Sembrano riportarci indietro nel tempo di secoli i tragici fatti cui stiamo assistendo in questi giorni in Iraq: il terribile dilagare, in una vasta regione del Medio Oriente, di un'orda fanatica e crudele, in preda ad inestinguibile delirio religioso, che però non assomiglia alla solita formazione di terroristi-guerriglieri (alla "talebana" per intenderci) dediti alle operazioni mordi e fuggi, ai colpi di mano o attentati seguiti dal puntuale ritorno in meandri inaccessibili, tra montagne o foreste, ove diventa pressochè inpossibile scovarli e combatterli. No: qui ci si trova di fronte a qualcosa di assimilabile piuttosto ad un attrezzato ed agguerrito esercito regolare e tradizionale che affronta lo scontro in campo aperto, combatte con carri armati ed artiglierie, conquista territori e città, nelle quali poi sfila in parate trionfali con i propri uomini in uniforme, mezzi bellici e bandiere al vento.<br />
Non si tratta, tuttavia, dell'esercito di uno stato fin qui "ufficialmente" esistito, ma di qualcosa di nuovo-vecchio che ci rimanda ai tempi in cui eserciti animati dalla stessa fanatica fede di questo odierno, prima arabi e poi turchi, contesero a quelli dell'Occidente cristiano per circa un millennio, dalle prime conquiste successive alla nascita stessa dell'Islam, alle campagne crociate, a Lepanto, a Vienna, il dominio su popoli e nazioni: questa è l'armatadi un sedicente "stato islamico" che intende appunto far rivivere in tutto e per tutto il sogno (per gli altri popoli un incubo) di un Islam destinato a dominare il mondo intero caratterizzante quel lungo periodo di confronto armato, rispolverando anche termini come "califfo" e "califfato" che, con la fine di esso, erano ormai caduti in disuso.<br />
Le notizie sulle crudeltà e nefandezze commesse da questi barbari nei territori travolti dalla loro avanzata lasciano allibiti; per essi sembrano essere trascorsi invano secoli di progressi nei campi della convivenza civile tra i popoli, della democrazia all'interno delle società, del diritto, della tolleranza delle appartenenze religiose o di altro genere; progressi che hanno invece profondamente condizionato orientamenti ed attitudini di chi è oggi chiamato a raccogliere la loro sfida: la comunità internazionale e, dal momento che a fare le spese della situazione, con centinaia di nuovi martiri, sono soprattutto le comunità cristiane delle zone invase, la stessa Chiesa di Roma, le quali non possono non fare i conti con la propria impreparazione di fronte ad una minaccia per esse tanto inedita, proprio in quanto non sono più quelle stesse potenze occidentali e Chiesa cattolica che in passato affrontarono (e, bisogna dirlo, sconfissero) le armate dell'espansionismo islamico cui tornano ad ispirarsi questi loro moderni emuli, le cui "forma mentis", mire e metodi sono viceversa rimasti immutati rispetto ad allora, se non addirittura ulteriormente incrudeliti.<br />
Così, onde cercare di contenere l'avanzata di questi ossessi a rischio di provocare un genocidio e di travolgere il debole regime "ufficiale" di Baghdad, gli Stati Uniti di Obama si sono visti costretti ad intervenire in quattro e quattr'otto - e controvoglia, poichè uno dei successi vantati dal Presidente di fronte all'opinione pubblica del suo Paese era appunto stato quello di essere riuscito a portarlo definitivamente fuori dal pantano irakeno, in teoria sufficientemente pacificato e democraticizzato - con bombardamenti aerei mirati e lanci di aiuti per le popolazioni costrette alla fuga e ad interminabili tribolazioni sotto l'incalzare degli invasori.<br />
Il Santo Padre ha, dal canto suo, invitato a pregare per le povere vittime della situazione, che sono soprattutto cristiane, e benedetto chi si prodiga a portare loro aiuto, certamente includendo, pur senza dichiararlo esplicitamente, anche chi, quell'aiuto, lo porta proteggendo dagli aggressori le vite stesse dei perseguitati con l'unico strumento nell'immediato impiegabile contro una simile furia cieca, che è quello delle armi. Da qui l'ovvia assenza di ogni sua critica o condanna controi raids aerei americani o la legittima aspirazione ad armarsi da parte di popolazioni semplicemente non intenzionate a finire schiacciate come topi.<br />
Tale comportamento non può non significare una tacita ed imbarazzata presa d'atto che, pur non potendo esprimere ai quattro venti certi termini, in quanto la loro ormai secolare desuetudine porterebbe ad equivocare e ad urtare talune sensibilità moderne abituate a ben altro tipo di linguaggio da parte della Chiesa, questa volta è davvero innegabile che sussistano gli estremi, nelle risposte militari che si sono dovute obbligatoriamente adottare, della famosa "guerra giusta", piaccia o no espressamente prevista dalla Dottrina cattolica e teorizzata da Padri e Dottori della Chiesa del calibro di S. Agostino e S. Tommaso d'Aquino, quale "extrema ratio" quando diviene impossibile ogni altra via d'uscita pacifica da una situazione che imponga la legittima difesa contro atti altrui estremamente ingiusti e violenti.<br />
Il Papa ha giustamente ricordato, nei giorni scorsi, che alla violenza non ci si oppone con la violenza, nel senso che essa non può assurgere al rango di unico o privilegiato mezzo al quale affidare la risoluzione degli umani contenziosi, ma è ovvio che questo non può mai escludere che si debba ricorrere , nell'immediato, ad ogni mezzo idoneo a fermare stragi di innocenti o soprusi indicibili ai loro danni: permettere che tante persone finiscano martiri per il solo nostro rifiuto, motivato da un criminalmente errato concetto del dovere cristiano, ad impiegare tutti i mezzi in nostro possesso atti ad evitare ciò, equivarrebbe ad un delitto frutto di fanatismo religioso non meno grave di quelli di chi, per gli stessi motivi, prende a sterminare direttamente vite umane. Alla follia della "guerra santa" non si può opporre quella di un'"imbellità santa".<br />
Come si vede, in conclusione, ciò che sta accadendo in regioni non poi così lontane dal nostro mondo tutto sommato "tranquillo" rappresenta una sfida come forse mai nessun'altra alle nostre certezze di uomini e cristiani del nostro tempo, che credevano ormai irreversibilmente sepolti nel passato certi incubi collettivi e la necessità di affrontarli con fermezza e lucidità.<br />
Tommaso PellegrinoTommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-2052454870640349224.post-69084547527728090542014-03-11T10:22:00.000-07:002014-03-11T10:22:17.608-07:00IN LIBRERIA: LA TIARA E LA CORONAQuasi un secolo di amore-odio tra Papato e monarchia sabauda.<br />
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E' noto come l'epopea del Risorgimento italiano abbia dovuto svolgersi, piaccia o no, in aperto contrasto con la Chiesa cattolica, rappresentata da un Papato investito anche di un potere temporale, su un principato esteso su circa un sttimo del territorio italiano, che i Papi, da oltre un millennio, considerano basilare affinchè sia loro possibile l'esercizio di quello spirituale, nelle indispensabili condizioni di libertà e di indipendenza da qualsiasi altra autorità sovrana terrena, e sulla cui origine divina non hanno dubbi.<br />
Diventa dunque inevitabile il conflitto tra una Chiesa tenacemente arroccata su simili posizioni e chiunque si trovi dall'altra parte della barricata: anche se si tratta della cattolicissima monarchia sabauda, che tuttavia si mette alla testa del movimento di riscatto nazionale e per questo va incontro alle più amare incomprensioni, intolleranze reciproche, persino battaglie sul terreno, con la più alta autorità religiosa della Terra.<br />
Il libro cerca di ricostruire appunto la storia di tale travagliato rapporto lungo i quasi cento anni che vanno dall'apertura del Regno di Sardegna alle nuove idee liberali e risorgimentali, al varo delle sue prime leggi contro privilegi clericali ed ordini religiosi, alla graduale spoliazione manu militari dei territori dello Stato Pontificio, con conquista finale della stessa Roma, ai settant'anni di convivenza, nella stessa capitale, di una monarchia scomunicata e di un Papa "prigioniero" della prima, al sospirato accordo, infine, che pone finalmente termine alla più singolare ed imbarazzante situazione di conflitto in cui si sia trovato a dibattersi uno Stato moderno negli ultimi secoli.<br />
Disponibile nelle migliori librerie, o ordinabile direttamente all'autore (tramite e-mail all'indirizzo tommypellegrino@libero.it) o all'editrice Roberto Chiaramonte Editore di Collegno (TO) (e-mail: roberto.chiaramonte@fastwebnet.it).<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgsyEA7angS3D44AtKEGo5dZn1FgM8O1JfXX6tNv6H2_Zq-PN8U894M8MNXPuBeptwW0UMwZicuxT4S654MPEJYKTNIkyGW4oBSf_l5I_1ajD5UfWTeXK7-9aWEM8wdQJOky9i9xXsq23k4/s1600/P1000138.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgsyEA7angS3D44AtKEGo5dZn1FgM8O1JfXX6tNv6H2_Zq-PN8U894M8MNXPuBeptwW0UMwZicuxT4S654MPEJYKTNIkyGW4oBSf_l5I_1ajD5UfWTeXK7-9aWEM8wdQJOky9i9xXsq23k4/s1600/P1000138.JPG" height="240" width="320" /></a></div>
<br />Tommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2052454870640349224.post-48536711194095971252011-07-30T04:41:00.000-07:002011-07-30T05:51:06.134-07:00IL BRUSCO RISVEGLIO DEL REGNO DA FAVOLA.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5NeqEg32Zx9J9uhrxDi8skvB0BMQzwehKODL5T8MTQhQF2194tA06uSXf5930U9jXGRcYuNwrnnxSnObvnRIrUOotk3RjqpBXO-d0qsM1EFTUmrc0cOgRV4ngsTVsLs5eU870kWitHWKb/s1600/P1000109.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5635126987770639346" style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 240px; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5NeqEg32Zx9J9uhrxDi8skvB0BMQzwehKODL5T8MTQhQF2194tA06uSXf5930U9jXGRcYuNwrnnxSnObvnRIrUOotk3RjqpBXO-d0qsM1EFTUmrc0cOgRV4ngsTVsLs5eU870kWitHWKb/s320/P1000109.JPG" border="0" /></a><br /><br /><div>Sulle prime si era pensato all'ennesima offensiva terroristica da parte dell'integralismo islamico contro uno dei paesi occidentali impegnati nei vari teatri, primo fra tutti l'Afghanistan, dove più la cmunità internazionale agisce concretamente per cercare di porre un argine al fenomeno più pericoloso di questi tempi per a pace e la stabilità mondiale; una ritorsione sulla falsariga di quelle già subite in passato - senza volere scomodare l'11 settembre 2001 newyorkese, che rimane di proporzioni assolutamente imparagonabili a quelle di qualsiasi altro attentato precedente o successivo - da capitali come Madrid e Londra.</div><br /><br /><br /><div>Poi, quasi subito, si è scoperto che la bomba fatta esplodere nel centro di Oslo, capitale del felice regno di Norvegia, e la strage di giovani laburisti riuniti a congresso nell'isola di Utoya, che hanno complessivamente prodotto qualcosa come 76 morti accertati, erano invece opera, al contrario, proprio del più acerrimo nemico degli aspiranti conquistatori del mondo sotto l'insegna della mezzaluna che si potesse immaginare: il trentaduenne autoctono Anders Behring Breivik, faccia da biondno per bene, passato familiare un po' burrascoso da ambino cresciuto senza padre, in testa un cocktail confuso di fondamentalismo cristiano (protestante), di xenofobia, di idee di estrema destra, di passione per i templari e per le armi da fuoco e di tante altre cose ancora.</div><br /><br /><br /><div>Breivik avrebbe agito "per salvare l'Europa dall'invasione musulmana", e come l'attuazione di un simile massacro d suoi stessi connazionali potesse servire a tale causa deve averlo capito soltanto lui; di sicuro i giovani laburisti li ha visti come i rappresentanti più immediatamente colpibili di quella categoria di politici occidentali, marxisti e non, che lui giudica "traditori" (probabilmente per eccessiva cedevolezza verso gli islamici) degni di essere soppressi fisicamente.</div><br /><br /><br /><div>Prima del criminale exploit, il giovanotto ha infatti pubblicato su Internet una sorta di suo delirante "Mein Kampf" di 1.500 pagine nel quale, oltre a dare sfogo a tutte le sue invettive xenofobe, individua in leaders politici attuali di primo piano come Zapatero, Angela Merkel e Sarkozy dei traditori di "categoria A" da condannare senza indugio a morte.</div><br /><br /><br /><div>Per un paese come la Norvegia - uno di quei classici stati nordici che siamo abituati a considerare un po' come regni delle favole, oasi di democrazia evoluta, pulizia, pace sociale, welfare efficientissimo, lontani dalle realtà caotiche, problematiche, a volte violente delle nostre latitudini, anche se afflitti da poco invidiabili rovesci della medaglia come l'alto numero di suicidi o la crisi delle famiglie tradzionali - si è trattato senza dubbio di un brusco risveglio; qualcuno ha parlato di "perdita dell'innocenza".</div><br /><br /><br /><div>Certo è che queste nazioni non sono preparate a scoprire di avere a che fare, in casa propria, con "mostri" del genere e questa tragica attualità dà ragione a coloro che, come chi scrive, non le hanno mai considerate, malgrado tutto, dei veri modelli da imitare: esse si sono chiuse nel loro guscio, non hanno spiccato tra i grandi protagonisti della storia mondiale attraverso i secoli, ma si sono ritagliate dei regni dove tutto è perfettino, obbediente a leggi in apparenza evolutissime e "civilissime", illudendosi così di chiudere fuori dalla porta di casa le brutture del mondo esterno; e, quando queste brutture irrompono prepotentemente senza neppure bussare, tanta eccessiva "perfezione" le ha portate a farsi sorprendere di fatto disarmate, a non disporre più dei mezzi giuridici, un po' più arcaici, ma gli unici idonei alla bisogna, per farvi fronte. Si pensi che, per stragi orrende come quelle compiute da Breivik, la legge norvgese, che non prevede naturalmente nè pena di morte nè ergastolo, potrebbe comminargli al massimo ventuno anni di reclusione, per di più da trascorrersi in carceri modello simil-residence di lusso, come sono ovviamente quelle di un paese "civilissimo" come la Norvegia. In alternativa, si sta studiando la possibilità di imputare il giovane stragista di "crimini contro l'umanità", il che potrbbe consentire di affibiargli fino a...trent'anni di galera,ma sarebbe probabilmente una forzatura giurdica.</div><br /><br /><br /><div>Lo stragista parla adesso dell'esistenza di una moltitudine di "cellule" di "martiri" pronte a compiere altri gesti clamorosi come il suo; anche se ciò non fosse propriamente vero, esiste comuque il pericolo di emulazione.</div><br /><br /><br /><div>Noi tutti abbiamo ora un motivo in più per non abbassare la guardia contro qualsiasi campagna d'odio da qualsiasi parte provenga; soprattutto chi veramente tiene a difendere l'identità cristiana europea dal più o meno prepotente imporsi degli islamici o di qualunque altra cultura estranea al Continente, ma non nel modo in cui follemente intendeva farlo Anders Breivik, riuscendo soltanto a nuocere nel peggiore dei modi anche a detta nobile causa.</div><br /><br /><br /><div>Tutti dovranno fare la lro parte, e la Norvegia, in ogni caso, non potrà più essere il regno delle favole di prima.</div><br /><br /><br /><div>Tommaso Pellegrino</div>Tommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-2052454870640349224.post-72262222537240300832011-03-25T06:18:00.000-07:002011-03-25T07:57:51.820-07:00LIBIA: UNA SOLA CERTEZZA E TANTE INCOGNITE.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEihyphenhyphenJiQFhTa6waT3AiX_mjBpokvWWHh6Lb0MGCNy_l1ENEJgvMdiyOVy6xh-Cbk-9ZvNw1P84vL_W6Ur4V0KdANsG_VO4cQRZYwdgJTx5Zz4FKymPv3uFn4vKz4aoLLvZ3tfGiBBtZx_rEf/s1600/P1000051.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5588031848960917378" style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 240px; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEihyphenhyphenJiQFhTa6waT3AiX_mjBpokvWWHh6Lb0MGCNy_l1ENEJgvMdiyOVy6xh-Cbk-9ZvNw1P84vL_W6Ur4V0KdANsG_VO4cQRZYwdgJTx5Zz4FKymPv3uFn4vKz4aoLLvZ3tfGiBBtZx_rEf/s320/P1000051.JPG" border="0" /></a><br /><div>E' partita. L'operazione militare "Odissea all'alba", autorizzata dalla risoluzione Onu n. 1973 e tesa ad impedire, con tutti i mezzi necessari tranne l'occupazione militare, una prevedibile carneficina di ribelli e semplici cittadini da parte delle forze rimaste leali al leader libico Gheddafi - riavutesi dai pochi giorni di sbandamento iniziale e tornate ad essere quelle inevitabilmente destinate a prevalere salvo il caso, appunto, di decisi interventi dall'esterno - oltre che a stabilire la famosa "no-fly zone" nei cieli interessati, è scattata da una settimana e ad essa partecipa attivamente anche l'Italia. La missione è stata quasi fanaticamente propugnata da Francia e Regno Unito, appoggiata dalla Lega Araba, accettata un po' "obtorto collo" da Italia e Stati Uniti, e decisamente non ben vista da Germania, Russia ed altri.</div><br /><div>Prima di esprimere considerazioni su quanto sta avvenendo attualmente, sarà utile un breve riepilogo dei fatti che hanno portato alla presente situazione, e mai trattati in precedenza su questo blog.</div><br /><div>Diciamo intanto che la comunità internazionale, nei confronti del regime libico di Gheddafi, in un primo momento, dopo gli exploits iniziali della rivolta scoppiata soprattutto in Cirenaica, con la liberazione pressochè totale di quella regione dalle forze governative, aveva già venduto, come suol dirsi, la pelle dell'orso prima di averlo ucciso.</div><br /><div>Da qualche tempo si stava infatti allora assistendo ad analoghe sollevazioni, in Tunisia ed Egitto, che già avevano portato, senza eccessivi spargimenti di sangue, all'uscita di scena dei rispettivi leaders Ben Alì e Mubarak e all'inizio di transizioni più o meno ordinate, per lo più gestite dalle influenti classi militari locali e, si spera, orientate verso futuri assetti più democratici di quelli precedenti, data anche la rassicurante mancanza di un evidente matrice estremista islamica nei movimenti propugnatori del cambiamento in quei paesi. Analogamente e a maggior ragione, quindi, di fronte all'iniziale successo di insorti libici capaci di conquistare l'intera Cirenaica ed altre zone, di far passare dalla propria parte truppe ex governative, comandanti militari, ministri del regime, ambasciatori all'estero, di costituire un nuovo quasi-stato nelle terre liberate, con la sua capitale Bengasi, il suo "governo" (il Consiglio Nazionale di Transizione) ed il suo esercito raccogliticcio, ma discretamente armato, straordinariamente motivato, sottoposto ad addestramento e pronto a balzare alla conquista del resto del Paese, il mondo finì per ritenere ormai spacciato, un po' troppo frettolosamente, come si sarebbe visto in seguito, anche il dittatore di Tripoli Colonnello Gheddafi.</div><br /><div>Contro di lui, per l'efferatezza con la quale reprimeva le manifestazioni dei dissidenti, facendo sparare indiscriminatamente su di loro e (pare) bombardandoli persino con l'aviazione, la condanna internazionale fu particolarmente severa, prevedendo il deferimento alla Corte dell'Aja, il congelamento dei beni ed altre sanzioni, sempre dando ormai per scontato l'imminente tramonto del suo più che quarantennale regime.</div><br /><div>Ferme restanti la vicinanza e la solidarietà sempre dovute alla causa di chiunque sinceramente lotti e paghi di persona per la vera libertà, è tuttavia d'obbligo qualche considerazione di politica realistica che rende legittimo il non accodarsi del tutto acriticamente all'entusiasmo incondizionato delle solite anime belle nostrane, che già immaginano il rifiorire di tante perfette democrazie in stile anglosassone o svizzero in luogo dei regimi dei vari raìs nordafricani caduti come tessere di un domino: in quella parte del mondo, non dimentichiamolo, si sono dissolti governi indubbiamente dispotici al loro interno, ma sicuramente (per Gheddafi il discorso sarebbe un po' più complesso) leali verso l'Occidente, garanti di decenni di stabilità e, soprattutto, laici ed in grado di costituire un buon argine contro il pericolo del fondamentalismo islamico ad un passo dalle nostre coste; con la loro caduta non è affatto detto che le cose non possano effettivamente migliorare, ma le incognite sono tante e certo qualche cautela per il futuro di regioni dall'equilibrio tanto delicato non può non pesare sull'appoggio da accordare a chi eventualmente insorga per stravolgerne l'assetto, appoggio che può e deve essere invece pieno e senza riserve nel caso, ad esempio, dei dissidenti iraniani, in lotta appunto contro un regime dei più intransigentemente integralisti, e pericolosi per la pace e gli equilibri mondiali, già al potere, al quale ben difficilmente potrebbe subentrare qualcosa di peggio, in caso di sua caduta.</div><br /><div>Per noi italiani in particolare, poi, la situazione nordafricana ha presentato aspetti ancora più critici ed imbarazzanti: siamo il Paese europeo geograficamente più prossimo all'area in questione;già con la caduta del regime tunisino gli sbarchi di disperati sulle nostre coste sono sensibilmente aumentati; proprio con Gheddafi avevamo addirittura stretto un patto di amicizia che funzionava discretamente specie nella parte relativa alla collaborazione per far fronte all'immigrazione clandestina nel nostro Paese, e, in ogni caso, eravamo tra i paesi con maggiori rapporti economico-commerciali con la Tripoli del Colonnello. Come biasimare, quindi, data questa nostra particolare posizione, la prudenza e l'apparente ritardo del presidente Berlusconi nell'unirsi al coro internazionale di condanna senza appello all'indirizzo di Gheddafi, prima che fosse effettivamente chiara la gravità di quanto stava accadendo in Libia?</div><br /><div>Quando fu evidente il fatto che Tripoli andava reprimendo con violenza inaudita, persino tramite aviazione, le manifestazioni popolari anti-regime e che, così facendo, si era ormai nuovamente fatta mettere al bando dalla comunità internazionale, mentre una nuova Libia sembrava invece sorgere dalla ribellione, con buone prospettive di riuscire a prevalere sulla vecchia entro breve, nessuno, neppure Roma, potè più negare che il regime di Gheddafi non potesse più essere considerato un interlocutore praticabile e fare mancare la propria condanna ferma ad ogni massacro di civili.</div><br /><div>Il dittatore libico, dato ormai quasi per spacciato, è però meno alla frutta di quanto non si creda: ha forze sufficienti per passare al contrattacco e lancia all'indirizzo dei suoi nemici agghiaccianti minacce di compiere autentici macelli che, c'è da giurarci, potendo manterrebbe sicuramente, data la sua fama di uomo tragicamente di parola.</div><br /><div>Con la capitale degli insorti, Bengasi, sul punto d essere assaltata dai governativi, e quindi senza realistica speranza di scampare alla terribile vendetta del raìs, a meno di un tempestivo intervento dall'esterno, su sollecitazione soprattutto di Francia, Gran Bretagna e Lega Araba, viene emessa la risoluzione Onu n. 1973 concernente l'intervento militare internazionale per l'istituzione della "no-fly zone" sulla Libia e la protezione delle popolazioni civili dalle rappresaglie del regime.L'Italia, anche per la sua posizione geografica, che comporta l'avere sul proprio suolo le basi più idonee da mettere a disposizione degli Alleati per sferrare gli attacchi aerei, non può tirarsi indietro dal partecipare all'impresa e così inizia la strana "guerra" (le virgolette sono d'obbligo poichè oggi, la guerra, nessuno più la dichiara nè la chiama con il suo nome) che stiamo vivendo in questi giorni.</div><br /><div>E' una situazione con una sola certezza e tante incognite. La prima è che almeno qualcuno, tra gli Alleati, stia operando più per l'abbattimento del regime di Gheddafi che non per proteggere le popolazioni civili e che, probabilmente, non mollerà fino a risultato raggiunto, anche a costo di andare ben oltre quanto contemplato dalla risoluzione Onu autorizzante l'intervento armato; quanto alle seconde, c'è solo l'imbarazzo della scelta di quale nominare per prima: intanto, non sappiamo chi siano davvero gli insorti che stiamo aiutando, quale peso abbiano, nelle loro fila, eventuali elementi integralisti islamici e quale Libia futura si prepari in caso di loro successo finale, con quali conseguenze per i nostri interessi economici, nel campo energetico come della lotta all'immigrazione clandestina; inoltre, per guardare all'immediato, non si è ancora neppure risolto bene il dilemma di chi debba avere il comando della nostra coalizione e, tra i paesi membri, si rilevano divergenze di vedute non indifferenti, con un esagerato protagonismo della Francia, che molti osservatori imputano alla volontà di voler soffiare, soprattutto all'Italia, i rapporti privilegiati nel campo commerciale e del petrolio con la Libia che verrà.</div><br /><div>In tanta poca chiarezza, un elemento sembrerebbe apprezzabile in quanto previsto dalla risoluzione 1973, e c'è da sperare che venga rispettato fino in fondo: l'esclusione tassativa di un'occupazione del suolo libico con truppe terrestri straniere. Così, qualsiasi futuro assetto politico finisca per stabilirsi in quelle terre alla fine della tempesta, sarà comunque almeno un prodotto atoctono.</div><br /><div>Dopo l'Iraq e l'Afghanistan, di altri esperimenti di esportazione della democrazia sulla punta delle baionette occidentali non si sentirebbe davvero la mancanza.</div><br /><div>Tommaso Pellegrino</div>Tommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-2052454870640349224.post-51133161944584412072011-01-06T04:57:00.000-08:002011-01-06T06:21:56.662-08:00QUALCHE SASSOLINO DALLA SCARPA...<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPdE7-0rJ-kXcLUd0oHyFVjA6-6zksrhIdo6_ApL7BYXTa0ONiQl8KFRmZ5uoKuKXp3mVSWTavVzeXcFfXVeShl14aMYRnH0SH7m1k5EzfI05SAxXoLEGSksLXxxeOel0c5zZDQGDQrD-p/s1600/P1000046.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5559077963471907058" style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 240px; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPdE7-0rJ-kXcLUd0oHyFVjA6-6zksrhIdo6_ApL7BYXTa0ONiQl8KFRmZ5uoKuKXp3mVSWTavVzeXcFfXVeShl14aMYRnH0SH7m1k5EzfI05SAxXoLEGSksLXxxeOel0c5zZDQGDQrD-p/s320/P1000046.JPG" border="0" /></a><br /><div>In questi giorni di fine-inizio anno viene spontaneo fare, per usare un termine forse un po' abusato ma efficace, dei "bilanci", vale a dire soffermarsi a riflettere un po' di più di quanto non lo si faccia ordinariamente negli altri periodi, su quello a cui ci è capitato di assistere negli ultimi tempi, e magari - qualora si ritenga di essersi tenuti dentro per troppo tempo qualche considerazione, magari un po' "eterodossa", e si avverta quindi il bisogno impellente di esternarla - togliersi anche, come diceva un grande Presidente emerito della Repubblica di recente scomparso, qualche "sassolino dalla scarpa".</div><br /><div>Sulla politica nazionale non mi sono più espresso "pubblicamente" da tempo: in ogni caso, il mio giudizio, già non certo molto lusinghiero, sull'occhialuto personaggio che ha palesemente tradito le aspettative dei suoi elettori, indebolendo gravemente la maggioranza governativa di cui faceva parte, pur senza riuscire ad abbatterla come avrebbe voluto, non può che essere ulteriormente peggiorato rispetto al post precedente a questo, risalente ai tempi del discorso di Mirabello. Tradimento e traditore sono termini senz'altro pesanti, che sembrano più consoni ad altre epoche storiche e ad altri contesti socio-politici che non all'Occidente democratico del XXI secolo, ma, purtroppo, data una simile situazione, non se ne trovano di più calzanti, ed il pronunciarli denunciando l'accaduto, seppure a malincuore, è il primo sassolino che dovevo togliermi dalla famosa scarpa. Il colpaccio in sede di dibattito parlamentare sulla fiducia, come si è detto, all'occhialuto e soci non è riuscito ancorchè per un "pelo", e questo ha fatto tirare un sospiro di sollievo a quanti, come lo scrivente (e chi mi segue da tempo lo sa), non amano eccessivamente le "cadute" degli esecutivi prima della scadenza naturale della relativa legislatura, neppure quando a governare è la parte politica loro avversa, ed ammirano invece i sistemi politici (ahimè improponibili da noi) che, come ad esempio quello americano, privilegiano innanzitutto la stabilità dell'"amministrazione" persino di fronte a cambi di maggioranza in Parlamento dovuti ad elezioni. Ora, se in Italia sarà possibile allargare una maggioranza così risicata, tanto meglio; intanto, l'essenziale era che non si seppellisse totalmente, in quel frangente, ogni possibilità di giungere sani e salvi al fatidico 2013.</div><br /><div>Mentre nelle aule parlamentari si svolgeva il non privo di colpi di scena dibattito sulla fiducia di cui sopra, nelle strade romane a pochi metri dai palazzi del potere l'inaudita violenza vandalica di manifestazioni per così dire "studentesche" causava danni a cose e ferimenti a persone di una gravità quale non la si registrava ormai da parecchio tempo. Ma non erano normali studenti gli autori delle efferatezze più gravi: per quanto ultimamente piuttosto portate ad eccedere nelle contestazioni contro le innovazioni promosse dal ministro Gelmini, che non sto qui a giudicare per non avere approfondito a sufficienza l'argomento, ben difficilmente le ordinarie masse di studenti - in (piccola) parte politicamente consapevoli e in (gran) parte semplicemente profittanti dell'occasione per distrarsi con un po' di bagarre, lontani da banchi e libri - si sono lasciate andare ad eccessi di simili proporzioni.</div><br /><div>I devastatori erano dei cosiddetti "black-block"; criminali allo stato purissimo usi ad approfittare di qualunque pretesto solitamente offerto loro da manifestazioni, magari relativamente pacifiche, organizzate da altri per accodarsi alle medesime e lanciarsi nelle loro bestiali imprese. Contro di loro la reazione delle forze dell'ordine dovrebbe essere di intensità proporzionata e soprattutto, affinchè ciò possa avvenire, alle stesse dovrebbe essere trasmessa la sensazione di avere alle spalle tutto l'appoggio e la solidarietà possibili da parte del Paese e della magistratura, non quella frustrante delle "mani legate" dovuta all'esistenza di superiori e giudici oggettivamente sempre pronti a dare loro addosso al minimo sospetto di aver trattato quella gentaglia con metà della decisione che essa meriterebbe, e a garantire viceversa ai più pericolosi delinquenti trattamento con i guanti e scarcerazioni facili. E questo, più che un sassolino, mi pareva proprio un macigno da togliere dalla mia numero 42.</div><br /><div>A proposito di criminali incensati e di brava gente invece offesa ad opera di alte istituzioni e personalità di stato sedicenti paladine di chissà quali "oppressi", poi, è di questi giorni anche la notizia del rifiuto del presidente del Brasile Lula di estradare in Italia il terrorista rosso pluriassassino Cesare Battisti (ahimè omonimo di uno dei più cristallini eroi della storia della nostra Patria) alla faccia dell'affronto che ciò costituisce per giustizia italiana e parenti delle vittime del figuro.</div><br /><div>Lula appartiene, con il venezuelano Chavez, ad una nuova generazione di governanti sudamericani populisti, antiglobalisti, pateticamente abbarbicati all'arcaica concezione che tutto il male venga dall'America e dall'Occidente opulento e che tutto il bene stia dalla parte degli avversari di questi, per quanto discutibili o pericolosi, da cui comportamenti quali l'avvicinarsi a regimi come l'Iran e la protezione accordata al Battisti, appunto perchè terrorista "rosso". L'Italia sta rispondendo con sufficiente compattezza alla sfida, l'ambasciatore in Brasile è stato richiamato, manifestazioni bipartisan sulla questione stanno avendo luogo un po' ovunque. Bisognerebbe intensificare gli sforzi per isolare internazionalmente i responsabili di così gravi iniquità.</div><br /><div>Mi tolgo infatti l'ennesimo masso dalla calzatura affermando che nulla avrebbe da perdere il mondo dalla scomparsa dalla scena politica di simili arnesi.</div><br /><div>Infine è riemerso prepotentemente il problema dei cristiani perseguitati nel mondo: gente che non chiede altro che la legittima libertà di seguire indisturbata le pratiche dettate dalla propria fede e viene fatta invece letteralmente saltare in aria nelle sue stesse chiese, nei paesi ove la violenza assassina è più brutale, arbitraria e senza controllo, oppure è più subdolamente e meno rumorosamente osteggiata in qualche ultimo baluardo dell'ateismo di stato come la Cina, che tiene a dare di sè un'immagine di ordine interno e di disponibilità all'apertura internazionale, ma non rinuncia a violazioni tanto esplicite dei diritti umani.</div><br /><div>In tutti i casi, è necessario che chi di dovere, pur senza sconfinare in comportamenti che ne snaturerebbero il ruolo, faccia sentire la propria voce con la massima chiarezza e decisione possibile, che esiga con ancora più energia (benchè a Benedetto XVI e a buona parte del suo alto clero si debba dare atto di essere meno "mammolette" di certi loro predecessori in passato), dalle autorità dei paesi più direttamente interessati, le misure concrete più idonee a combattere il fenomeno.</div><br /><div>Non è possibile rispondere soltanto con richiami alla fraternità universale e pur sacrosante argomentazioni teologiche a chi ragiona soltanto in termini di guerra santa, condotta con le armi, e scambierebbe pertanto tutto questo per segni di debolezza ed implicite rassicurazioni di non incontrare mai reazioni efficaci alle proprie azioni sanguinarie.</div><br /><div>Sarebbero ancora tanti i sassi e sassolini da levare dalle scarpe, affinchè si possa veramente camminare comodi per il nuovo anno che ci attende.</div><br /><div>Per ragioni di spazio, e di pietà per il lettore, ci siamo limitati a quelli che proprio ci procuravano fastidio intollerabile, se non rimossi.</div><br /><div>Anche se in ritardo, buon 2011 a tutti.</div><br /><div>Tommaso Pellegrino</div>Tommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.com12tag:blogger.com,1999:blog-2052454870640349224.post-78968684307153781892010-09-09T07:44:00.000-07:002010-09-09T09:18:53.139-07:00OH CHE BRUTTO CASTELLO, MIRA-MIRA-MIRABELLO.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSvmwnYlC-8oaSN45murWPK9xnZL0NDU72fu1n0tb78O_jE0mvrFvPvfRrYss4bp7TNykf3bQ70VB8lw1Nh7ujfX94P99ZeQm13v8g2Z5oGd3frPUvyQ9MzL_vCLYAgeG7Ci47P1iJojUe/s1600/P1000045.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5514948941200191554" style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 240px; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSvmwnYlC-8oaSN45murWPK9xnZL0NDU72fu1n0tb78O_jE0mvrFvPvfRrYss4bp7TNykf3bQ70VB8lw1Nh7ujfX94P99ZeQm13v8g2Z5oGd3frPUvyQ9MzL_vCLYAgeG7Ci47P1iJojUe/s320/P1000045.JPG" border="0" /></a><br /><div>La querelle protrattasi ormai da parecchi mesi (per non dire anni), con snervanti alti e bassi, raggelamenti e riavvicinamenti, tra i due co-fondatori del Popolo delle Libertà, Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini - divisi da differenti vedute su stile e contenuti da dare a quell'azione politica che avrebbero invece dovuto portare avanti compattamente insieme, come da volontà degli elettori - sembra essere giunta ad un punto di svolta, dopo il discorso fiume pronunciato dal secondo, domenica 5 settembre, in quel di Mirabello, tradizionale luogo di raduno annuale di quella destra un tempo missina, dove, a questo punto penso si possa ben dire "in un'altra vita", il Gianfranco nazionale venne indicato personalmente come proprio "delfino" dall'allora guru indiscusso di quel piccolo mondo ancora da "sdoganare" verso una piena partecipazione alla vita politica del Paese, Giorgio Almirante.<br />Non che in tale occasione sia emerso qualcosa di clamoroso o che non si sapesse già da prima, ma tutto il castello di lapidarie esternazioni uscito domenica dalla bocca del co-fondatore del PDL non fa che confermare la sensazione (sgradevolissima per chi, nella benedizione di avere finalmente un partito unico del centro-destra idoneo a governare bene, in armonia e senza intoppi, nell'interesse generale del Paese, ci aveva creduto per davvero) che si stiano preparando invece, in ogni caso, tempi tanto difficili per la politica italiana quali non se ne ricordavano ormai da parecchio.<br />Fini ha infatti ribadito ancora una volta la propria disponibilità a non far mancare la fiducia propria e dei suoi seguaci all'esecutivo in carica, probabilmente soprattutto onde cautelarsi in anticipo contro l'addossamento a lui della responsabilità, che si rende conto essere pesantissima, di eventuali crisi di governo, ma ha anche fatto presagire che il suo appoggio ai singoli provvedimenti governativi non sarà sempre scontato e andrà negoziato di volta in volta in un andazzo logorante oltre ogni misura, al quale l'unica alternativa sembrerebbero essere la fine della legislatura e le elezioni anticipate, con tutte le incognite e la situazione paradossale che tuttavia ciò comporterebbe.<br />Chi sostiene il punto di vista del presidente della Camera nega ovviamente ogni responsabilità dello stesso nella grave crisi politica che si sta attraversando. Fini sarebbe stato vittima di un provvedimento di espulsione "stalinista" (parole dello stesso Gianfranco) per mano di Berlusconi; lui si sarebbe semplicemente eretto a promotore di una maggiore libertà di dissenso all'interno del partito, di un centro-destra meno "peronista", più attento a non mettere in discussione i meccanismi e le istituzioni garanti della democrazia,più moderno ed in linea con i grandi partiti europei della stessa area.<br />Ora, è ovvio ed auspicabile che, in una grande formazione politica da sistema più o meno perfettamente bipartitico, convivano punti di vista anche assai differenti tra loro su specifici temi e che sia consentito esprimerli: sono un esempio di ciò le elezioni primarie negli Stati Uniti, dove si sfidano appunto tra loro candidati portatori di messaggi diversi, pur nell'indiscutibile appartenenza allo stesso partito, e che non sarebbero neppure possibili se tutti i membri del medesimo fossero monoliticamente d'accordo su tutto; ma, se l'espressione del dissenso interno supera ogni limite fisiologico, se diventa un sistematico contraddire il proprio partito ad ogni minima occasione, può ancora dirsi sostenibile una simile stuazione? E può definirsi vittima di "stalinismo" chi, avendo mantenuto tale condotta, venisse alla fine, con rammarico, espulso?<br />E siamo tutti d'accordo sulla desiderabilità di una destra moderna, democratica ed europea. Chi mai, d'altronde, ne vorrebbe una di matrice superata, con aspirazioni dittatoriali ed incomprensibile al di fuori dei confini nazionali? Il punto è che il centro-destra italiano, inutile negarlo, ha tratto, sinora, una parte consistente della propria forza dalla volitività e dalle doti di trascinatore di un leader carismatico. E' ben vero che bisognerà, prima o (possibilmente non troppo) poi, gradualmente "normalizzare" la situazione anche sotto questo aspetto: dovrà fare qualche passo indietro il clima forse un po' troppo da "culto della personalità" del capo tuttora vigente, si dovranno pur fare emergere nuovi leader credibili ed in grado di garantire sopravvivenza ed unità al partito anche quando, non fosse altro che per ragioni anagrafiche, si dovrà fare a meno della personalità cementatrice di Berlusconi. E' ahimè vero che quest'ultimo, un po' per "deformazione professionale" dovuta alla storia personale di audacissimo imprenditore e non di politico di professione, ed un po' per altre questioni caratteriali, tende forse troppo ad assimilare il mestiere di guidare una Nazione a quello, invece diversissimo, di condurre un'impresa, con conseguenti reazioni a volte eterodosse di fronte a regole ed istituti propri dell'impianto democratco, visti istintivamente come impedimenti alla legittima frenesia di "fare" del premier. Ma è anche vero che non è quella somministrata dal presidente della Camera la medicina giusta per questi "mali": per il momento, non è ancora possibile, in Italia, un'azione efficace di governo, nel segno del centro-destra, che prescinda dalla leadership del Cavaliere, esercitata con la serenità necessaria, pur senza che sia minimamente bandita la critica interna, quando costruttiva e non mirante a far cadere questa condizione essenziale.<br />Proprio questo, invece, è stato fatto ora, qualunque via d'uscita si trovi poi allo stato di smarrimento e di incertezza sul prossimo futuro in cui ci si dibatte attualmente.<br />E di chi siano le gravissime responsabilità di questo stato di cose è chiarissimo.<br />Tommaso Pellegrino</div>Tommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.com12tag:blogger.com,1999:blog-2052454870640349224.post-1064001984503764322010-06-12T04:37:00.000-07:002010-06-12T06:25:53.543-07:00I 150 ANNI DELL'UNITA' D'ITALIA? CELEBRIAMOLI, ECCOME, MA SENZA TACERE DI CIO' CHE AVREBBE POTUTO ESSERE E NON E' STATO.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi05gjMdCezalaQzouJd2XHmU6QGqHXVpQjwjonNqV8_PACr_dUxHA1Opv7PB8xmww2GZ3yuUeeiorgMvh67jcCQ99z6z_t1v0ja2KorPacMWSlPPPsUg44WqT90AkTWiUIWtKFkiuXKVim/s1600/P1000040.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5481877786240064178" style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 240px; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi05gjMdCezalaQzouJd2XHmU6QGqHXVpQjwjonNqV8_PACr_dUxHA1Opv7PB8xmww2GZ3yuUeeiorgMvh67jcCQ99z6z_t1v0ja2KorPacMWSlPPPsUg44WqT90AkTWiUIWtKFkiuXKVim/s320/P1000040.JPG" border="0" /></a><br /><div>"Unità d'Italia e coesione sociale non significano centralismo e burocratismo", ha dichiarato il Capo dello Stato Napolitano domenica 6 giugno a Santena (Torino), in occasione del bicentenario della nascita del conte Camillo Benso di Cavour, il principale artefice di quell'Unità d'Italia di cui molti oggi si chiedono persino se sia il caso o meno di celebrarne il 150° anniversario, e quasi rispondendo a quanti tale domanda sembrano porsi con maggiore insistenza e, a volte, neppure troppo celati secondi fini politici.</div><br /><div>Il fatto che non tutti sentano la necessità di festeggiare l'evento, a dire il vero, non stupisce più di tanto, in un Paese che non riesce a trovare una ricorrenza nazionale in cui realmente riconoscersi per intero, che continua ad avere un 25 aprile "di sinistra", un 4 novembre "di destra" e le idee più coloritamente confuse su quale possa essere la "Patria", o comunque la comunità umana, di cui sentirsi davvero parte integrante senza riserve, con il cuore e con la mente.</div><br /><div>L'Unità d'Italia, così come fu conseguita nel 1861, presenta tuttavia caratteri particolari: si trattò della proclamazione, da parte del Parlamento di Torino nel marzo 1861, del Regno d'Italia per cambio di denominazione di quello di Sardegna, in seguito alle annessioni, tramite plebisciti, delle terre del Mezzogiorno conquistate soprattutto dall'azione di Garibaldi, le quali, andando ad aggiungersi a quelle precedentemente acquisite di Lombardia, Toscana, Emilia -Romagna ecc., portavano finalmente il dominio sabaudo ad estendersi dall'estremo nord all'estremo sud di quella realtà geografica ed umana da sempre riconosciuta appunto come Italia, a prescindere dalla sua mai veramente attuata unità politica.</div><br /><div>Era però un'Italia ancora incompleta, mancando all'appello Roma e vaste porzioni del nord-est; e così quella svolta, sempre considerata (non certo a torto) più un punto di partenza che non di arrivo, finì per essere oscurata, nell'immaginario collettivo e nelle celebrazioni ufficiali, da altri avvenimenti quali la presa di Roma del 1870 o la vittoria definitiva sull'Austria del 1918, maggiormente riconosciuti, a seconda delle scuole di pensiero, come i veri atti conclusivi del processo risorgimentale e coronamenti del sogno dell'unità nazionale. A maggior ragione in epoca repubblicana, poi, quello che pareva quasi soltanto il trionfo militare di una casa regnante, in seguito bollata, almeno dalla predominante "vulgata", come corresponsabile di vent'anni di dittatura fascista e, alla fine, affogata nella vergogna dell'8 settembre 1943, deve essere sembrato cosa ancora più piccola e parziale, in confronto al raggiungimento della Repubblica quale autentico suggello dell'edificazione dell'Italia moderna e democratica. Dell'Unità d'Italia proclamata nel 1861 ci si ricordò quindi ancora ogni cinquant'anni, con le grandi manifestazioni celebrative del 1911 e del 1961, ma poco di più.</div><br /><div>Eppure, è proprio l'Unità d'Italia, comunque realizzata, la condizione indispensabile non solo affinchè si potesse approdare al Paese repubblicano qual'è oggi, ma anche perchè ci si potesse a suo tempo integrare in Europa ed aspirare, ora, ad un giusto federalismo rispettoso tanto delle esigenze peculiari di ogni parte della Nazione come delle "unità e coesione" sottolineate dal Capo dello Stato. Gli staterelli italiani preunitari come avrebbero mai potuto continuare ad esistere disuniti di fronte al mondo che, tra Ottocento e Novecento, prendeva a cambiare a velocità iperbolica?</div><br /><div>L'idea che, nel centocinquantenario, non ci sia "proprio nulla da celebrare" è tipica espressione della tradizionale tendeza all'autodenigrazione degli italiani e non è degna di un popolo che, nel ricordo delle tappe fondamentali della propria storia, deve trovare l'ispirazione per sentirsi tale ed affrontare compatto anche le sempre meno facili sfide dei tempi odierni.</div><br /><div>Su come poi questa benedetta Unità d'Italia si sia praticamente realizzata, sul perchè sia alla fine prevalso un modello di stato centralista anzichè uno federale, certo più adatto ad un Paese con storia e tradizioni diverse da luogo a luogo come il nostro, sulla scarsa partecipazione di popolo alle lotte risorgimentali e sull'impatto spesso traumatico dell'unificazione su intere popolazioni, fino alle stragi inaudite perpetrate dal nuovo ordine costituito nel nome della cosiddetta "repressione del brigantaggio", la discussione può, anzi deve, essere aperta: no ad una pura e semplice celebrazione retorica e acritica di un mito, stile testi scolastici accompagnanti generazioni e generazioni di nostri scolari, si a festeggiamenti arricchiti da opportuni approfondimenti su aspetti magari poco conosciuti di quella fase cruciale della nostra storia recente, sulle occasioni mancate per pervenire a risoluzioni della questione dell'unità e dell'indipendenza italiane che si sarebbero forse rivelate migliori di quelle poi effettivamente adottate.</div><br /><div>Così si potrebbe scoprire, ad esempio, che l'idea di un'Italia federale anzichè centralista, oltre che animare, come noto, patrioti-pensatori di grande cervello, ma con scarso potere pratico, quali Cattaneo o Gioberti, non dispiaceva neppure allo stesso conte di Cavour, comunemente dipinto, esaltando o deprecando ciò a seconda delle proprie opinioni, come il paladino dell'Unità dItalia intesa come conquista dell'intero Paese da parte delle armi sabaude. Invece, come risulta dall'esame degli accordi presi da lui e da Napoleone III a Plombières, pocoo prima dello scoppio della Seconda Guerra d'Indipendenza, al premier piemontese sarebbe bastata l'estensione del dominio diretto dei Savoia, a spese dell'Austria, alla sola Italia settentrionale (la "Padania", guarda caso!), mentre, per il centro Italia, ci si accordava per la creazione di un regno da affidare probabilmente ad un parente dell'imperatore francese e, riguardo al sud, per il mantenimento al potere dei Borboni, se solo questi avessero riconcesso la costituzione e aderito al progetto di federazione dei tre regni italiani sotto la presidenza onoraria del Papa, il quale sarebbe così anche stato compensato per la perdita di talune parti delo Stato Pontificio di prevista assegnazione alle Due Sicilie.</div><br /><div>In quale tutt'altra maniera si svolsero poi le cose è noto: contattato da un emissario di Cavour poco prima della spedizione dei Mille, il bigottissimo re di Napoli Francesco II rifiutò la suddetta soluzione per non intaccare i territori papalini; Garibaldi portò fulmineamente a termine la sua impresa più celebre ed il Piemonte cavouriano fu costretto ad intervenire per non perdere il controllo della situazione, annettendosi poi plebiscitariamente le regioni meridionali italiane.</div><br /><div>Neppure nella primavera del 1861, tuttavia, cioè ormai immediatamente a ridosso dell'unificazione, poteva dirsi del tutto accantonata ogni aspirazione ad uno stato maggiormente basato sulle autonomie locali: il ministro degli Interni Minghetti presentò infatti, allora, un progetto di legge circa un ampio decentramento ai comuni che solo le sopraggiunte notizie delle prime rivolte scoppiate nel meridione, ed il timore che di troppa autonomia potessero approfittare i notabili borbonici per riprendersi il potere, gli indussero a ritirare, aprendo così le porte all'affermazione di un sistema più rigidamente centralistico.</div><br /><div>Il centocinquantenario dell'Unità nazionale, da celebrarsi senza disconoscere stupidamente la fondamentalità di una tappa comunque inevitabile del nostro cammino, ma pure senza sottrarsi, nascondendosi dietro a comode retoriche preconfezionate, ad una severa riflessione sulle luci e sulle ombre del lungo processo storico che ad essa condusse, sulle cose che si sarebbero potute fare e non si fecero, o che si sarebbero potute evitare e non si evitarono, può essere davvero l'occasione per rinsaldarci come popolo e ricavare così l'energia per affrontare, oggi, quelle riforme e quei progressi che completerebbero l'opera dei nostri padri.</div><br /><div>Tommaso Pellegrino</div>Tommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-2052454870640349224.post-73092001975047949512010-04-01T08:00:00.000-07:002010-04-01T09:15:40.450-07:00HA VINTO IL GOVERNO.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiE0VqApU_r2IKtdYtXgcJcd3zLxzBxOAgpHwIw2N0i6LYIakHJupu8P_prPt7cWqJSYpG0LyDF3mTheu94UMKXRWpf7SoHcECYV0pqmlawspiTzBo1HAymg6C_X1DHXiWfyTsSfV7oUXGl/s1600/P1000030.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5455203418642458610" style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 240px; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiE0VqApU_r2IKtdYtXgcJcd3zLxzBxOAgpHwIw2N0i6LYIakHJupu8P_prPt7cWqJSYpG0LyDF3mTheu94UMKXRWpf7SoHcECYV0pqmlawspiTzBo1HAymg6C_X1DHXiWfyTsSfV7oUXGl/s320/P1000030.JPG" border="0" /></a><br /><div>Si sono finalmente concluse le elezioni regionali più strane e travagliate degli ultimi anni, e quasi certamente dell'intera storia di questa tipologia di consultazioni, da quando le stesse furono istituite.</div><br /><div>Elezioni alle quali, da più parti, si è cercato di dare soltanto il significato di un referendum pro o contro il Presidente del Consiglio Berlusconi e la sua opera di governo nell'ultimo biennio; elezioni quasi per nulla precedute da una sana campagna caratterizzata dal naturale confronto tra le parti in lizza sui rispettivi programmi pensati per affrontare i reali problemi dei cittadini (complice anche una singolare messa al bando dei talk-show televisivi di genere politico per tutto il periodo pre-elettorale, che non staremo a commentare in questa sede), bensì preparatesi in un clima avvelenato come non mai da accuse meschine, da fanatici sfruttamenti (se non creazioni ad arte) di infimi inghippi formali onde cercare di impedire addirittura la partecipazione alla competizione ad importanti liste dell'avversario nelle principali città d'Italia, privando così gli elettori di uno dei diritti essenziali, da mosse e contromosse di un'aggressività senza precedenti, davanti agli organi istituzionali preposti a decidere sui ricorsi legali di chi si ritiene leso e persino nelle piazze del Paese.</div><br /><div>Eppure elezioni indiscutibilmente vinte, nonostante tutto, dalla coalizione di governo guidata dal Cavalier Silvio Berlusconi: caso abbastanza raro nel copione ricorrente nella vita elettorale di un po' tutti i moderni stati democratici, una parte politica al potere, a livello nazionale, da qualche anno non è infatti stata "punita" pesantemente in elezioni (amministrative o politiche che siano) di "middle term", com'è invece recentemente accaduto in Francia con il partito del presidente Sarkozy, più volte negli Stati Uniti ed in numerose altre occasioni in diversi paesi.</div><br /><div>Ci sarà stato qualche lieve calo rispetto alle ultime magiche politiche del 2008, ma basti dire che, nel gruppo delle tredici regioni interessate a questo voto, si è passati da due, diconsi due, regioni amministrate dal centro-destra a ben sei.</div><br /><div>Si può osservare che, peggio che in quel 2005, che portò appunto alle due famose regioni conquistate su tredici, sarebbe stato quasi impossibile andare. Vero: allora si era verso la fine del mandato governativo di Berlusconi iniziato nel 2001, ed è quasi tradizione-vizio irrinunciabile del nostro popolo il sentirsi con le scatole piene di qualsiasi governo, indipendentemente da segno e bravura del medesimo, dopo quattro-cinque anni dal suo insediamento, il che spiega quella dèbacle indimenticabile del centro-destra, ma il risultato avrebbe anche potuto essere di nuovo quello, o di poco migliore, nonostante il più breve periodo trascorso dall'inizio di questo mandato. Da allora ad oggi, infatti, gli italiani hanno avuto modo di sperimentare e confrontare tra loro esattamente un biennio governato dal centro-sinistra ed un altro dal centro-destra: alla fine del primo, avuta la possibilità di rivotare nel 2008, hanno deciso di voltare clamorosamente pagina; al termine del secondo, e cioè proprio nelle regionali di questi giorni, hanno invece, nei fatti, riconfermato la loro fiducia nell'esecutivo in carica.</div><br /><div>In pratica, si può dire che rimangano guidate dalla coalizione di centro-sinistra ormai soltanto quelle regioni italiane dove storicamente è pressochè impossibile immaginare un'alternativa alla predominanza di una certa ideologia, con il solo caso particolare della Puglia, dove, forse, alleanze diverse avrebbero potuto produrre pure un risultato diverso.</div><br /><div>Ha senz'altro pesato su questo esito soprattutto l'immagine di un governo che mette il "fare" davanti a tutto e che a "fare" obiettivamente ci riesce, a dispetto della ogni sorta di ostacoli che, lealmente e slealmente, gli si vuole parare davanti (ed anche il successo del centro-destra nella provincia de l'Aquila ne è senz'altro una conferma, alla faccia di "popolo delle carriole" e detrattori in malafede vari). Patetici ed inutili sono pertanto i tentativi di dare la"colpa" di quanto è successo all'astensionismo (che peraltro ha sempre sfavorito di più il centro-destra), alla presenza in campo, con relativo successo, dei "grillini", addirittura a possibili "brogli", come insinuerebbe la zarina torinese sconfitta Bresso (ma che, siamo in Iran o in Afghanistan?).</div><br /><div>Adesso l'esecutivo è uscito dalla prova rafforzato, c'è bisogno di un clima un po' più sereno e deve iniziare la sospirata stagione delle riforme.</div><br /><div>Il premier sembra intenzionato a metterci finalmente seriamente mano, anche se qualcuno sembra già intento ad affilare le armi per rendere anche quella strada tutt'altro che in discesa.</div><br /><div>Insomma, la vediamo ancora dura, ma un grosso pensiero ce lo siamo già tolto.</div><br /><div>Tommaso Pellegrino</div>Tommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.com9tag:blogger.com,1999:blog-2052454870640349224.post-13182127901175648402010-02-11T07:24:00.000-08:002010-02-11T08:43:16.085-08:00IL CORAGGIO DI UNA SCELTA E LA PROVA DELLA SUA CREDIBILITA'.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgMXr3ekrTmlwn-0hUbs7S0JS1cnA-NaBc3Ho7MKRzeI-fTiepQPTn-V6vd9qx1R1pxeeikKHKCmi4XdDcmk3EuFLszbhisfvtVIVmVdGZnW79UHK5xSjnMGlzQq8aSEI6cCKJCnAc45tVm/s1600-h/P1000026.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5437027369913070210" style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 240px; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgMXr3ekrTmlwn-0hUbs7S0JS1cnA-NaBc3Ho7MKRzeI-fTiepQPTn-V6vd9qx1R1pxeeikKHKCmi4XdDcmk3EuFLszbhisfvtVIVmVdGZnW79UHK5xSjnMGlzQq8aSEI6cCKJCnAc45tVm/s320/P1000026.JPG" border="0" /></a><br /><div>Per l'11 febbraio, o meglio il 22 di Bahman del calendario persiano, anniversario della rivoluzione islamica, la Guida Suprema iraniana, Alì Kamenei, ha promesso "un pugno in faccia all'Occidente": può darsi che quanto avvenuto il 9 febbraio davanti all'ambasciata italiana in quel Paese, e ad altre sedi diplomatiche europee, sia da intendersi come l'antipasto, l'esercizio di riscaldamento preludente ad azioni più eclatanti, o che tutto, almeno per il momento, debba considerarsi esaurito lì.</div><br /><div>Sotto quella data, una folla di qualche decina di giovani scalmanati, con cartelli e bandane verdi, si è dilettata nel lancio di sassi e uova contro la nostra ambasciata di Teheran, al grido di "morte all'Italia", "morte a Berlusconi" ed altre simili amenità, prima di venire dispersa senza drammi dalla polizia nel giro di una ventina di minuti. La versione ufficiale del regime degli ayatollah è che si trattasse di studenti alquanto incavolati perchè la nostra ambasciata avrebbe offerto rifugio a "facinorosi" implicati nei recenti moti antigovernativi, ma è praticamente certo che quegli esuberanti giovanotti fossero i realtà dei "basiji", cioè membri di una particolare milizia, dipendente dai più famigerati "pasdaran", adibita per lo più ad operare, in abiti borghesi, in azioni squadristiche contro i dissidenti e nella salvaguardia dell'ortodossia coranica negli ambienti giovanili e studenteschi, ove viene abilmente infiltrata.</div><br /><div>Ora, se ovviamente a nessuno può venire spontaneo di fare i salti di gioia per il fatto in sè che dei nostri connazionali abbiano dovuto subire un attacco del genere, in noi deve prevalere, oltre all'oggettiva considerazione che tutto si è risolto senza il minimo danno a persone o cose, la consapevolezza che a spingere il regime iraniano ad una simile, tutto sommato goffa, reazione non può essere stato altro che l'atteggiamento di chiara e determinata scelta di campo operata dall'Italia, nei giorni scorsi, circa la situazione mediorientale e le questioni riguardanti più direttamente Teheran, e che proprio tale atteggiamento ha fatto grande onore al nostro esecutivo e al nostro Paese.</div><br /><div>Come noto, nel corso del suo recente viaggio in Israele, il Presidente del Consiglio Berlusconi ha infatti finalmente mandato in soffitta ogni residuo della politica cerchiobottista o "del piede in due staffe", caratteristica dell'Italia degli anni e dei governi passati, per schierarsi nettamente da una precisa parte, in un contesto internazionale nel quale non è più possibile mantenersi neutrali spettatori e pare ormai evidente, ad ognuno dotato di buon senso ed in buona fede, quale sia la parte giusta da sostenere.</div><br /><div>Berlusconi ha innanzitutto garantito massima solidarietà ad Israele, unico stato di tradizione democratica dell'area mediorientale, da tempo impunemente fatto oggetto, da parte di Teheran, di minacce di distruzione totale; minacce rinnovate, quel che è il colmo dell'affronto, proprio in questi giorni di commossa comemorazione mondiale dell'Olocausto. Contro l'Iran - che persiste nel rifiutare la mano tesa della comunità internazionale e nel perseguire un programma nucleare più che semplicemente sospetto di volere alla fine sfociare nell'ottenimento della bomba atomica, e che continua a soffocare nel sangue ogni anelito di libertà al suo interno - il premier italiano ha invocato le più dure sanzioni, il pieno sostegno al movimento dissidente e il progressivo abbandono de lucrosi rapporti commerciali dell'imprenditoria occidentale con quel regime.</div><br /><div>Prese di posizione coraggiose delle quali, come scrive l'ex Capo di Stato Maggiore della Difesa Mario Arpino su "Liberal", "siamo orgogliosi, ma non potevamo pensare di uscirne indenni": la reazione iraniana è la prova che Berlusconi ha colto nel segno, che l'avversario è stato punto nel vivo.</div><br /><div>Ricordo quando, all'atto del ritorno al governo dell'attuale premier nel 2008, da Al Qaeda o ambienti similari si levò un grido come "Allah stramaledica Berlusconi", o frase equivalente. Ne fui piacevolmente sorpreso, quell'espressione voleva dire che era tornato alla guida dell'Italia qualcuno che i massimi nemici della nostra società ritenevano un avversario credibile, che almeno prendevano in considerazione, se non proprio temevano; per il suo incolore predecessore, invece, c'è da scommettere che mai avrebbero sprecato neppure il fiato per lanciargli una "stramaledizione".</div><br /><div>Viceversa, provai una rabbia indicibile e mi sentii offeso quando, qualche tempo fa, nell'indifferenza della nostra classe poltica tiepidina come sempre su questi temi, Ahmadinejad definì l'Italia "Paese amico" o giu d lì. Ma come si permetteva, questo figuro che comandava un regime teocratico sanguinario e che sfidava l'Occidente con lo spauracchio di costruirsi l'atomica, di insinuare che il mio Paese gli fosse amico, oltretutto senza neppure riceversi, da parte di chi avrebbe dovuto dargliela, una risposta per le rime?</div><br /><div>Ora la questione è giunta ad un punto cruciale: l'Iran non vuole sentire ragioni e continua una attività di arricchimento dell'uranio che, se davvero dovesse portare all'arma nucleare, visto che trattasi dell'unico stato al mondo a dichiarare senza peli sulla lingua di volerne cancellare un altro dalla carta geografica, creerebbe una situazione di pericolo per la pace senza precedenti ed inaccettabile per la comunità internazionale.</div><br /><div>Ora pare ci si voglia mettere d'impegno con le sanzioni (grazie anche alla coraggiosa azione di pressing italiana). Qualche speranza, anche se purtroppo minima, la si può ancora riporre nell'eventuale successo di una rivoluzione interna. Per ultima rimarrebbe l'opzione militare, sempre da rinviare il più possibile, ma mai da esludere del tutto a priori.</div><br /><div>Ma qui andiamo nel campo del futuribile.</div><br /><div>Tommaso Pellegrino</div>Tommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-2052454870640349224.post-74875607265872305522009-12-15T07:59:00.000-08:002009-12-15T09:22:06.841-08:00RIPARTIAMO DA QUEL PREDELLINO.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPtWQ9seIH54-AkV8ZwW3TB4Zeu-JlIv6mc0bXZDh7YdEhCMm1Pwy3EMNwqDnB29XLmGTP9NDHTpsdIaHpwnKzidq2aLa2DIlSpg1qv8itl3CX8xchEfPGpFt9EcscyOqDELm6VVwCW1ag/s1600-h/P1000025.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5415514429118711746" style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 240px; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPtWQ9seIH54-AkV8ZwW3TB4Zeu-JlIv6mc0bXZDh7YdEhCMm1Pwy3EMNwqDnB29XLmGTP9NDHTpsdIaHpwnKzidq2aLa2DIlSpg1qv8itl3CX8xchEfPGpFt9EcscyOqDELm6VVwCW1ag/s320/P1000025.JPG" border="0" /></a><br /><div>Ricorda decisamente più da vicino la squilibrata irlandese Violet Gibson, che, nel 1926, sparò a Mussolini ferendolo leggerissimamente, oppure quell'altro campione di salute mentale autore di un "attentato", per fortuna anche quello privo di gravi conseguenze, contro Ronald Reagan, portato a termine per amore dell'attrice Jodie Foster, che non i "professionali" esecutori dei piani omicidi contro leaders politici e popolari di razza, finalizzati a cambiare il corso della storia infrangendo sogni riformatori della portata di quelli di J. F. Kennedy o di Martin Luther King.</div><br /><div>Il Violet Gibson in versione maschile di turno si chiama Massimo Tartaglia, quarantadue anni, incensurato, ma, da una decina d'anni, in cura per problemi psichici piuttosto seri; la vittima è nientemeno che il Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi; l'"arma" una banalissima riproduzione-souvenir del Duomo di Milano che il primo ha pensato bene di scagliare contro il secondo, al termine di un comizio da questi tenuto in piazza Duomo, spedendolo all'ospedale in una maschera di sangue, con danni a setto nasale, labbra e denti e prognosi di venti giorni.</div><br /><div>Unanime, com'era sperabile che fosse, pur nei diversi gradi di "calorosità", la condanna del folle gesto da parte del mondo politico, e anche di coloro che qualche vocina di rimprovero proveniente dalle parti della coscienza la dovrebbero sentire, per avere deliberatamente e senza ritegno creato un clima di odio senza precedenti nel panorama politico nazionale, sostituendo la legittima, per chi sta all'opposizione, critica costruttiva all'operato di chi governa con l'abuso di armi quali la diffamazione, l'offesa personale e la calunnia. Un clima che, oltre ad essere il primo responsabile di quanto accaduto, ingigantisce l'impatto di un evento forse liquidabile, in tempi "normali", come l'increscioso, ma tutto sommato non carico di particolari significati, gesto di uno squilibrato, con minor preoccupazione per le possibili complicazioni di ordine pubblico cui il fatto potrebbe fare da detonatore o emulazioni.</div><br /><div>Invece, se Tartaglia è psicolabile e per questo ha effettivamente tradotto in pratica un impulso malsano, le migliaia di scellerati che, su Facebook e in ambienti simili, hanno inneggiato al suo gesto dimostrano inonfutabilmente che sentimenti di avversione viscerale ed irrazionale verso l'aggredito sono, in verità, diffusissimi, e che, quindi, il pericolo che anche a qualcun altro, sulla quantità dei soggetti, possano saltare i freni inibitori che gli hanno finora impedito di perpetrare azioni criminose è reale.</div><br /><div>Perchè si abbia qualche concreta possibilità di fare tutti un passo indietro, finchè si è in tempo, e perchè anche da un fatto negativo come questo possa nascere qualche cosa di positivo, occorre che proprio esso riesca a far comprendere a tutti i responsabli che si è ormai giunti ad un punto di molto difficile ritorno e che necessitano improrogabilmente radicali cambiamenti di registro.</div><br /><div>Chi ha tirato la corda fino a portare il clima nel Paese a questi livelli di invivibilità, sebbene sia da ingenui pretendere che riconosca le proprie colpe, deve per lo meno condannare con estremo vigore e "senza se e senza ma" atti di violenza come quello verificatosi a Milano; deve cessare ogni campagna vergognosa come quella tesa ad insinuare l'idea che sia mafioso (o lo sia stato) un premier che, proprio nel giorno in cui un mare di pecoroni scendeva in piazza contro di lui contestandogl anche questo, quasi ti decapitava la mafia con una retata di boss come non se ne ricordava da chissà quando; deve cessare di sostenere che il medesimo abbia aspirazioni quasi dittatoriali, quando invece egli avverte soltanto qualche comprensibile sensazione di mani legate per via della ferraginosità dei pur sacrosanti riti ed organi della garanzia e della democrazia, lui uomo di mentalità imprenditoriale, abituato al "fare" senza chiacchiere e senza burocrazia, e, di carattere schietto com'egli è, lo esterna uscendo forse talvolta un po' troppo dal seminato (ammettiamolo), ma lo fa ovviamente soltanto a parole e senza mai neppure sognarsi di mettere in atto comportamenti eversivi, malgrado gli atteggiamenti persecutori, da parte di talune istituzioni, nei suoi confronti da lui denunciati spesso non siano certo fisime, ma reali. Con gli istigatori o apologeti della violenza e del reato, via web o con qualsiasi altro metodo, la mano della legge non dev'essere infine leggera: non è infatti concepibile che i limiti alla libertà di espressione vigenti per i mezzi di comunicazione tradizionali non si estendano anche ai nuovi ritrovati come la Rete.</div><br /><div>Purtroppo, l'ambiguità, per non dire peggio, dei commenti a caldo di vari esponenti dell'opposizione, di fronte al volto sanguinante del premier, non indurrebbe propriamente al massimo dell'ottimismo circa le reali intenzioni di certe forze politiche di voltare pagina nel senso sopra auspicato.</div><br /><div>Sembrerebbe esserci un elemento, in questa dolorosa vicenda, comune ad un'altra clamorosa performance in una piazza milanese di Silvio Berlusconi: il predellino dell'automobile del leader. Da lì, nel 2007, fu lanciata l'idea del partito unico di centro-destra, che poi si realizzò, portò all'eccezionale risultato delle elezioni successive, a tante iniziali speranze legate ad una situazione parlamentare finalmente chiara, con una maggioranza solidissima, pochi gruppi parlamentari in campo ed un'opposizione moderata dichiaratamente disposta a giocare il suo ruolo correttamente e civilmente. Poi forse qualosa, per strada, si è guastato. Ora, in un'altra piazza poco distante da quell'altra, già dopo essere stato colpito, il Presidente del Consiglio, sfidando il pericolo di eventuali nuovi attacchi, nel caso quel pazzo non fosse stato solo, si è rizzato in piedi su quello stesso predellino, quasi a voler rassicurare i sostenitori presenti di non essere ancora stato definitivamente abbattuto.</div><br /><div>Cogliamo l'analogia tra i due momenti: ritroviamo le condizioni per una politica serena, scongiuriamo il clima di odio, superiamo anche le incomprensioni interne al PDL.</div><br /><div>Ripartiamo da quel predellino.</div><br /><div>Tommaso Pellegrino</div>Tommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2052454870640349224.post-7909671335171524152009-10-14T08:11:00.000-07:002009-10-14T09:21:17.067-07:00IL KAMIKAZE BAUSCIA E L'ILLUSIONE DELL'INTEGRAZIONE "BUONISTA"Strage evitata, presso la caserma "S. Barbara" di Milano, la mattina del 12 ottobre, grazie senz'altro ad un provvidenziale occhio di riguardo avuto, per noi, da Qualcuno lassù, ma anche al più terreno coraggio di un nostro caporale che ha evitato il peggio intervenendo di persona e rimediandoci una leggera ferita allo zigomo destro (oltre, speriamo in futuro, ad una medaglia).<br /> L'ingenere elettronico libico Mohamed Game si era infatti intrufolato nel corpo di guardia della struttura militare con una cassetta degli attrezzi contenente cinque chili di una miscela esplosiva artigianale che, se scoppiata a dovere, avrebbe potuto tranquillamente causare danni a persone e cose di tutto rispetto ancorchè non apocalittici; invece, per fortuna, l'ordigno ha funzionato solo parzialmente, causando la perdita di una mano e della vista, all'attentatore, e il leggero ferimento, come già detto, del bravo caporale che gli ha intimato l'alt.<br /> Sembrerebbe, per ora, trattarsi del gesto di una "cellula" locale di pochi elementi e senza legami con importanti reti islamiche organizzate, per quanto sicuramente ispirato dalla delirante mistica del jihad e dell'autoimmolazione seminatrice di morte tra gli "infedeli", i quali anche da quella caserma, guarda caso, partono per le loro missioni in Afghanistan. Tuttavia, ciò non deve certo indurci a sottovalutare la pericolosità di simili terroristi "fai da te", e corre l'obbligo di riflettere seriamente sull'ambiente socio-religioso-culturale, all'interno della comunità islamica, da cui costoro provengono e su quali criteri debbano guidare una politica di integrazione che salvaguardi al tempo stesso le primarie esigenze di sicurezza collettiva in tempi tanto critici per la civile convivenza tra etnìe e culture tanto diverse.<br /> Mohamed Game era in Italia da parecchi anni, immigrato regolare, con sulle spalle una regolare famiglia composta da moglie italiana e quattro figli ed un regolare mestiere,anche se afflitto da qualche superabile problema lavorativo ed alloggiativo. Insomma, ormai un quasi "baùscia" apparentemente tranquillo ed integrato, che ultimamente aveva anche preso a frequentare la discussa "moschea" di viale Jenner, quella dove, sugli effettivi contenuti di promozione della pace e di ferma condanna di ogni violenza dei sermoni che vi sono pronunciati, in idioma a noi incomprensibile, non si è mai onestamente potuta mettere la mano sul fuoco.<br /> Ma è proprio tra gli immigrati islamici esteriormente più inseriti nella società occidentale e rispettosi delle leggi che, ormai l'esperienza ha insegnato, possono nascondersi gli agenti del terrorismo integralista: ben difficilmente uno di essi si celerà dietro ad uno di quei lavavetri o venditori di cianfrusaglie che ci assillano ai semafori, e molto improbabilmente, anche, sarà uno di quelli dediti alla microcriminalità comune, come uno spacciatore o uno stupratore.<br /> Per potere pianificare, preparare, mantenere i contatti segreti giusti nell'ombra, indisturbatamente e senza destare sospetti, è invece molto utile una facciata di rispettabilità accompagnata da sufficienti possibilità materiali; senza contare che è poi l'adesione fanatica a seppur distorte visioni della dottrina islamica la principale molla animatrice di simili fenomeni, mentre, nei comportamenti di delinquenti comuni e sbandati extracomunitari che campano di espedienti, non sembra certo ravvisabile la tendenza a conformarsi ad alcun genere di disciplina religiosa, comunque intesa.<br /> A spingere questi invasati contro le nostre persone, cose ed istituzioni non sono dunque motivi d'ordine sociale, o di disperata reazione a presunte realtà di emarginazione o di discriminazione subite dai poveri immigrati delle loro provenienze in seno alla nostra società, come tante anime belle nostrane vorrebbero invece continuare a fare credere, forse anche per via di una tradizione materialista dura da rimuovere dal pensiero della sinistra, che rende difficile concepire tanto slancio, fino al supremo sacrificio di sè stessi, motivato soltanto da ragioni religiose o spirituali.<br /> Non è, quindi, con le ricette "buoniste" delle sempre maggiori concessioni, delle maniche sempre più larghe in fatto di libertà di riunirsi a "pregare" e di erigere luoghi di culto, al di fuori di ogni controllo, che si favorirà un'integrazione costruttiva e sicura di tali soggetti nei nostri paesi. Questa sarebbe pura illusione ed una "Monaco" che, a lungo andare, ci costerebbe cara. E' bene ribadire fino alla nausea che questa gente, da buonismo, tolleranza e disponibilità nei suoi confronti, non si lascerà mai intenerire, che i suoi obiettivi non sono infatti rivendicativi di maggiore rispetto o di migliori condizioni di vita per gli immigrati o per i popoli islamici in generale, ma di lotta al mondo occidentale per ciò che esso rappresenta, e che di ogni più piccolo cedimento che gli parrà debolezza approfitterà senza esitare.<br /> Gli interessi della vera integrazione e della nostra sicurezza si tutelino piuttosto prevenendo la predicazione dell'odio tramite controlli rigorosi nelle moschee, imponendo loro la trasparenza dei bilanci (chi li finanzia? Chi finanziano?), esigendo verifiche sulla formazione ricevuta e sul curriculum degli "imam" che vi operano, magari istituendo un "albo degli imam" come suggerito da ministro Ronchi, promuovendo, per quanto possibile, la pronuncia dei sermoni in italiano, ed infine disciplinando rigidamente la nascita di nuovi luoghi di culto islamici.<br /> Intanto, nell'immediato, non si lasci riposare l'intelligence e tutti gli altri organi preposti alle indagini negli ambienti a rischio e alla prevenzione-repressione di atti criminosi come quello appena verificatosi.<br /> Soprattutto, con l'attentato di Milano ancora fresco, si agisca molto e se ne parli poco, onde non indurre in tentazione eventuali potenziali emulatori che potrebbero sentirsi, loro, chamati da Allah a cercare di centrare il disastroso risultato mancato per un soffio dall'ingegnere libico.<br /> Tommaso PellegrinoTommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-2052454870640349224.post-30494008640014017052009-07-30T07:57:00.000-07:002009-07-30T09:30:15.989-07:00AFGHANISTAN: SIAMO IN GUERRA O NO?Le vicende della nostra pluriennale missione militare in Afghanistan, causa il surriscaldarsi della situazione sul campo ed il conseguente aumento della frequenza con cui ci giungono dolorose notizie di attentati al nostro contingente, come a quelli di altre nazioni alleate, spesso con militari caduti o feriti, sono ultimamente balzate sotto i riflettori dell'attenzione pubblica come poche volte in precedenza, ed hanno sollevato qualche dubbio e fatto scricchiolare consolidate certezze persino in chi non aveva prima mai minimamente vacillato nel sostenere la necessità del contributo italiano allo sforzo internazionale volto a favorire la ricostruzione materiale e civile, nella indispensabile cornice di sicurezza, di quel martoriato Paese.<br /> Intendiamoci, le parole vagamente accennanti ad un improbabile "ritiro" dei nostri soldati pronunciate, nei giorni scorsi, dagli esponenti leghisti non vanno interpretate come qualcosa di diverso da ciò che sono in realtà state: semplici sfoghi "paterni" di fronte alla triste sorte di tanti bravi ragazzi, secondo la definizione dello stesso ministro della Difesa La Russa, indipendenti dal ruolo politico dei soggetti, che infatti non sono poi venuti meno all'impegno di sostenere la linea di governo in sede di voto di riconferma delle missioni militari all'estero. Del tutto ingiustificati sono perciò, a tale propsito, tanto i timori degli alleati quanto i tentativi di strumentalizzazione del caso da parte dell'opposizione, interessata ad intravedervi segni di frattura all'interno della coalizione governativa.<br /> Tuttavia, un inquietante interrogativo se lo pongono in molti e riguarda, piuttosto, la natura del nostro impegno militare in Afghanistan, dopo che l'intensificarsi dell'attività talebana, l'allentamento di certi "caveat" nazionali e l'invio nel teatro anche di mezzi più tipicamente offensivi quali i bombardieri "Tornado" ( che ora, da semplici ricognitori, pare stiano per essere adibiti anche alle loro più consone mansioni di attacco) sembrano avere a poco a poco reso la missione più simile ad una autentica campagna di guerra che non all'operazione "di pace" originariamente tanto decantata, anche per via del noto imperativo di continuare a servirsi delle solite collaudate formule eufemistiche e "politicamente corrette", onde rendere questi interventi all'estero digeribili ad un'opinione pubblica come la nostra, fino a quando esse fniscono per assumere, spiace dirlo, toni di amara ipocrsia, in quanto diviene evidente che i termini più appropriati per definire certe situazioni sarebbero ormai ben altri.<br /> E inoltre, posto che si tratti davvero di guerra, sarebbe una guerra cui potremmo legittimamente partecipare, vigendo il celeberrimo e sempre citato, a proposito e più spesso a sproposito, articolo 11 della Costituzione?<br /> Intanto, occorre precisare che, essendoci di mezzo dei contingenti militari armati, il confine tra situazione di fatto "di pace" e "di guerra" è sempre parecchio sfumato. Anche la più classica delle missioni propriamente "di pace", cioè quella inviata a vigilare sull'osservanza di un cessate il fuoco già precedentemente sottoscritto da due contendent, quella del tipo, per intenderci, spesso affidato a "caschi blu" dell'ONU (esempio: Libano), può infatti trasformarsi in un episodio di guerra di fatto, anche se non dichiarata (formalità, questa, peraltro caduta in disuso ormai da più di sessant'anni, persino in caso di autentici conflitti "tradizionali"), qualora qualcuno decidesse di rompere la tregua e i soldati in missione venissero attaccati o coinvolti negli scontri. Certo, il rischio pratico di degenerazioni belliche è invero molto più basso in questo genere di missioni che non in operazioni tipo Afghanistan o Iraq, ma, se davvero fosse totalmente nullo, non ci sarebbe neppure il bisogno di inviare contingenti internazionali armati.<br /> Appunto in Afghanistan, dopo una breve fase oggettivamente "combat", cioè di guerra guerreggiata conclusasi con la dissoluzione del regime talebano, protettore dei terroristi islamici responsabili dell'ecatombe dell'11 settembre, il contingente a guida NATO, ISAF, cui partecipa l'Italia, si sobbarca l'onere di favorire e proteggere militarmente il processo di ricostruzione materiale, morale, politico e civile del Paese, nel vuoto di potere creatosi.<br /> E' anch'essa indubbiamente un'operazione "di pace": i soldati stranieri, specie quelli italiani e di qualcun'altra delle nazioni partecipanti, impegnati in assistenza alle popolazioni, opere pubbliche ecc., sono vincolati da rigidi "caveat" e l'uso delle armi è previsto solamente per la difesa in senso stretto. A differenza che nel caso precedentemente esaminato, però, qui non si vigila sull'osservanza di una tregua raggiunta tra due contendenti; il "nemico" non ha siglato alcuna resa o accordo, è solo stato sonoramente battuto in campo aperto, cacciato dalle leve del potere e costretto alla macchia, dove necessita di tempo per riorganizzarsi, prima di tornare a rappresentare un pericolo.<br /> In effetti, dopo pochi anni di relativa tranquillità, duante i quali quella in Afghanistan sembrava quasi diventata una missione di pace di routine come tante altre, l'insorgenza talebana esplode con inaspettata virulenza, trasformando particolarmente alcune regioni del Paese in scenari di guerriglia e costringendo i reparti NATO ivi schierati ad un brusco cambio di atteggiamento.<br /> Per l'Italia, schierata in zone meno direttamente ivestite dal fenomeno, ma pur sempre esposta a maggiori pericoli e tensioni, cominciano la crisi di identità sul proprio ruolo e gli equilibrismi politici per cercare, al tempo stesso, di non perdere prestigio presso gli alleati, i quali premono per un sempre maggiore impegno di tutti nel teatro, e di salvare ad ogni costo, all'interno, l'immagine retorica della missione "di pace", condizione indispensabile, specie con una maggioranza come quella del biennio Prodi, per non perdere il sostegno parlamentare alla missione.<br /> La prudenza con la quale vengono velate le brutte notizie in arrivo dal fronte raggiunge vette sublimi: per anni, ad esempio, ad ogni annuncio di attacco subito dalle nostre truppe, si bada bene a non usare la parola "talebani", ma a dare la colpa di tutto a generici "elementi ostili"; l'esistenza di un avversario bene identificato fa infatti pensare ad una situazione di guerra in corso, mentre l'"elemento ostile" chiunque lo può incontrare anche passeggiando pacificamente in una qualsiasi città italiana. Soltanto recentissimamente, con il cambio di guida politica nel nostro Paese e l'avvento di un ministro della Difesa come Ignazio La Russa, si è cominciato a chiamare un po' di più le cose con il loro nome, ad ammettere con maggior franchezza la realtà della situazione, a lasciare un poco da parte certe forme che, ripeto, sanno troppo di tragica ipocrisia.<br /> Siamo dunque in guerra o no, in Afghanistan? Da un punto di vista giuridico, sicuramente la risposta a tale quesito dev'essere negativa, ma è inutile negare che, laggiù, ci si trova a dover agire in un ambiente infestato da formazioni organizzate ed armate che si considerano perfettamente in guerra con noi, come con ogni altro appartenente alle forze militari internazionali, anche se noi ci ostiniamo a non ritenerci in guerra con loro. Diciamo che è una missione di pace nella quale le armi più idonee a fronteggiare le minacce esercitate non possono purtroppo essere soltanto un elemento quasi decorativo come in altri teatri, bensì debbono essere impiegate, senza eccessi e senza parsimonia, nel contesto dei compiti a noi assegnati nell'ambito dello sforzo internazionale, che tuttavia non dev'essere soltanto bellico, ma anche di "conquista dei cuori e delle menti" dei locali, di vero appoggio alla ricostruzione, di eventuale ricerca di un dialogo con coloro con i quali ciò fosse possibile.<br /> Sarebbe assurdo perorare il ritiro proprio ora, solo perchè la missione si presenta più difficile di come l'avremmo desiderata.<br /> La posta in gioco è troppo alta e il momento troppo decisivo: contribuire a riportare sicurezza e stabilità in un angolo del mondo dove non è remoto il rischio che persino le cinquanta testate nucleari pachistane possano cadere in mani terroriste è un atto di difesa così vitale che certo nessun articolo 11 di nessuna Costituzione può ritenere illegittimo.<br /> Tommaso PellegrinoTommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-2052454870640349224.post-37835356686047179872009-06-11T08:34:00.000-07:002009-06-11T09:44:29.677-07:00ELEZIONI EUROPEE: CHI HA PERSO POCO E CHI CREDE DI AVER VINTO MOLTO.E' finalmente calato il sipario anche su queste ultime consultazioni elettorali per il rinnovo del Parlamento Europeo, consultazioni queste, inutile negarlo, da sempre scarsamente "sentite" sia dal "palazzo" che dalla gente comune, se non come mera occasione di verifica dei più freschi orientamenti assunti dall'elettorato domestico verso chi, pro tempore, detiene la responsabilità del governo del Paese e chi si arrabatta invece per mettergli i bastoni tra le ruote, e possibilmente rosicchiargli qualche consenso, come opposizione, al fine di trarne conclusioni utili soltanto per le consuete schermaglie che animano il teatrino politico interno.<br /> Se non proprio giustificabile, questo atteggiamento mentale è per lo meno facilmente spiegabile: nonostante l'esistenza di questo Parlamento eletto a suffragio universale e la moneta unica, infatti, l'Unione Europea, piaccia o non piaccia, è ancora ben lungi dall'essere (e chissà se mai lo diverrà) quello che si dice uno stato federale, come lo sono, ad esempi, gli Stati Uniti d'America. Con i nostri voti per l'Europa, noi non eleggiamo, cioè, una maggioranza che poi esprimerà un vero esecutivo comunitario dotato di poteri effettivi e diretti di governo e, soprattutto, con la titolarità esclusiva della politica estera dell'intera Unione, divenuta così un unico soggetto di diritto internazionale. E' dunque in un certo qual modo naturale che, malgrado le direttive europee disciplinino ormai svariatissmi aspetti della nostra vita e condizionino la politica del Paese, si possa non percepire, avvicinandosi a queste elezioni, quella stessa sensazione di compiere una scelta fondamentale per i nostri destini di governati provata invece quando si tratta di votare per le politiche o per le amministrative, ma, nella campagna elettorale appena conclusasi e negli attuali dibattiti del dopo-voto, pare si sia andati e si stia andando ben oltre la fisiologica messa in secondo piano dei temi squisitamente europei per concentrarsi quasi esclusivamente sulle ripercussioni dell'esito della consultazione comunitaria sugli equilibri politici interni.<br /> Nei mesi precedenti il voto, certe forze politiche italiane hanno deliberatamente scelto di trasformare la campagna elettorale per le europee nella più aspra battaglia senza esclusione di colpi, leciti ed illeciti, mirante a demolire l'avversario sul piano morale ed umano prima ancora che su quello politico.<br /> Lo spettacolo è stato, a tratti, indegno; si è cercato di sfruttare di tutto: dai guai familiari del capo del governo a suoi presunti illeciti, dalle allusioni a suoi possibili rapporti ambigui con candide diciottenni alle ineleganti disquisizioni sulle qualità estetico-intellettive di talune candidate di parte governativa.<br /> Nell'obbiettiva difficoltà ad esercitare un'opposizione motivata, brandendo argomenti validi, contro un governo che ha aumentato sensibilmente la sicurezza nelle strade cittadine, che sta migliorando il rendimento della Pubblica Amministrazione introducendovi la cultura della meritocrazia, che darà la possibilità ai terremotati d'Abruzzo di andare ad abitare in vere case dopo pochi mesi dal verificarsi del sisma stesso, e che ha finalmente adottato una drastica, ma efficace, politica di contrasto all'immigrazione clandestina via mare, gli avversari non hanno disdegnato neppure il ricorso a colpi bassi abbondantemente al di sotto della cintura, come quello di dubitare persino delle qualità di buon educatore del premier per ipotetici nuovi figli, suscitando le giuste rimostranze della prole reale già cresciuta, e cresciuta bene, maggiorenne e vaccinata.<br /> Alla fine, lo scadente antiberlusconismo fine a sè stesso, in bocca a chi avrebbe invece avuto il compito istituzionale di proporre serie alternative alla politica governativa, non è stato per questi pagante, ed ha determinato soltanto il rafforzamento dell'ala peggiore dell'opposizione, quella che tanto più prospera quanto più la buona politica latita.<br /> I risultati della sfida sono noti: la coalizione al governo in Italia ha saldamente tenuto, come pure il centro-destra di Sarkozy in Francia, mentre una crisi della sinistra che non è solo nostrana, ma generalizzata, ha portato a grosse delusioni per le forze al potere in quasi tutto il resto d'Europa.<br /> Il PDL ne è uscito con un risultato leggermente inferiore alle aspettative, è vero, ma i suoi due punti percentuale in meno rispetto alle elezioni politiche di poco più di un anno fa non sono i ben sette in meno riportati, nello stesso raffronto, dal PD, che pure si dichiara soddisfatto per essere almeno riuscito ad arginare uno "sfondamento" senza precedenti da parte dell'avversario, imponendogli una "battuta d'arresto".<br /> E' infatti tra le più consolidate tradizioni italiane quella di vedere tutti il bicchiere mezzo pieno dopo le tornate elettorali; ed anche chi ha perso poco o tanto si sente sempre un po' vincitore.<br /> Pur rimanendo sostanzialmente inalterato l'equilibrio tra le coalizioni di maggioranza e di opposizione, i due protagonisti principali sulla scena politica nazionale ci hanno invero entrambi rimesso qualcosa, seppure in misura diversissima, a vantaggio dei loro rispettivi alleati più "esuberanti", ma è innegabile che vi sia stato chi, dalla prova, ha avuto conferma di avere fin qui operato secondo le aspettative di chi lo ha eletto e chi, invece, ha ricevuto un forte segnale dell'urgenza di un cambiamento di rotta.<br /> Tommaso PellegrinoTommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-2052454870640349224.post-41734406000490407512009-04-28T08:28:00.000-07:002009-04-28T09:25:42.582-07:00IL 25 APRILE, ALEMANNO ED ALTRO...Come ad ogni sopraggiungere di tale data cruciale, anche in vista di questo 25 aprile ci si era già pressochè rassegnati ad assistere alle consuete polemiche di bassa lega e manovre di appropriazione della festa ad opera di un solo versante politico ben definito, manovre in passato sempre favorite, bisogna ammetterlo, anche dalle sostanziali assenze nelle sedi più opportune e dalla rinuncia, per quieto vivere, a rivendicare con la dovuta energia il proprio ruolo nella lotta resistenziale, o, almeno, il proprio diritto a festeggiare come tutti la riconquistata libertà, da parte di quei protagonisti di altri orientamenti politici che sono spesso ben più sinceri fautori degli ideali posti alla base della nostra democrazia di quanto non lo siano gli apparenti padroni della festa, ma non altrettanto aggressivi e possibilitati a convogliare grandi masse, a proprio sostegno, nelle piazze ove solo chi fa più chiasso sembra avere diritto di cittadinanza.<br /> Invece, quest'anno, qualcosa sembra essersi finalmente mosso nel senso del reciproco venirsi incontro tra italiani e dell'intendere la ricorenza come veramente "nazionale" anzichè appannaggio di una sola parte.<br /> Il presidente della Repubblica, gesto ancora più significativo in quanto compiuto proprio da una delle più autorevoli personalità di quella sinistra da sempre ritenutasi depositaria esclusiva di storia e valori della lotta partigiana, si è recato a Montelungo, dove ad esordire contro i tedeschi non furono i partigiani, ma i militari regolari del ricostituito Regio Esercito, ed ha ricordato che a "nessun caduto di qualsiasi parte (...) si può negare rispetto e pietà".<br /> Il capo dell'opposizione ha invitato quello del governo a partecipare alle celebrazioni del 25 aprile, come non aveva mai fatto precedentemente (magari nella segreta speranza che rifiutasse, così da avere l'appiglio per innescare sterili polemiche, come da migliori tradizioni di ogni anno a questa data), e questi ha accettato, ancorchè non recandosi a Milano (come avrebbe voluto il Franceschini) o in altra piazza "calda" del Nord Italia, teatro effettivo dei fatti insurrezionali di sessantaquattro anni fa, dove ad attenderlo sarebbero state soprattutto masse mobilitate dalle forze politiche prevalenti in quel contesto (e quindi, inutile negarlo, da quelle di sinistra, con tutta la buona volontà ben difficilmente immaginabili ad osannare Berlusconi) e che, comunque, non avrebbe certo costituito una cornice adatta per la presenza di un capo di governo, ma prma presenziando alla cerimonia ufficiale nella capitale e poi recandosi in quel di Onna, già teatro di una strage nazista ed oggi provata dalla tragedia del terremoto abruzzese.<br /> Negli interventi di tutte le personalità della maggioranza, secondo taluni ancora in bilico tra nostalgie mussoliniane e conversione all'antifascismo, la piena adesione ai valori democratici e costituzionali, trionfanti con la vittoria di quanti, nel '43-45 combatterono contro il nazifascismo, è stata inequivocabile come mai in precedenza, e, se questo può apparire in un certo qual modo scontato per quanto riguarda gli esponenti del PDL provenienti da Forza Italia, da sempre in prima linea nella difesa dei valori liberali, essa non si è rivelata meno convinta da parte anche degli ex di Alleanza Nazionale, vale a dire del partito discendente da quel MSI ancora pochi anni or sono non certo sospettabile di eccessivo antifascismo.<br /> Il passo successivo è stato il pieno accoglimento della richiesta avanzata dall'opposizione (chissà se, anche in questo caso, per cercare la rissa nel caso di una risposta a picche) di ritirare un discutibile progetto di legge che avrebbe equiparato combattenti repubblichini, partigiani e del Regio Esercito cobelligerante nel comune diritto a cavalierati e vitalizi.<br /> Al netto accoglimento di questa richiesta, e alla netta presa di posizione su quale sia, tra le parti in lotta nel '43-45, quella da ringraziare per le odierne libertà democratiche, non ha mancato di associarsi neppure il sindaco della capitale ed ex dell'estrema destra Alemanno; lo stesso che, giorni fa, è stato bersaglio di gratuiti apprezzamenti non propriamente benevoli da parte di un patetico sindaco di Parigi che vogliamo credere solamente disinformato sulle reali posizioni del suo collega romano, e non in aperta malafede.<br /> Parrebbe, quindi, che più nulla possa offrire il destro ad insinuazioni sulla mancata condivisione dei valori fondanti della nostra Repubblica, almeno tra le grandi forze politiche destinate ad alternarsi democraticamente alla guida del Paese.<br /> Certo rimarrà qualche isolato a non accorgersi del progredire del treno della Storia, come chi ha tanto cretinamente (ma anche prevedibilmente) contestato Formigoni a Milano, o come chi resterà fermo su posizioni ormai fuori del tempo anche sul versante politico opposto. Ma saranno persone e gruppi che si autoemargineranno, che saranno sempre in meno e peseranno sempre meno.<br /> La condvisione dei valori di base è invece essenziale in una moderna democrazia degna di tale nome, non c'è alcun grande Paese in cui questa non si sia realizzata, e poi si potrà, anzi si dovrà, differenziarsi e confrontarsi su tutto il resto.<br /> Tommaso PellegrinoTommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2052454870640349224.post-25015825522201350382009-02-09T08:45:00.001-08:002009-02-09T09:41:12.245-08:00INTERROMPETE QUELL' INTERRUZIONE!Ho finora evitato di prendere posizione sulla drammatica vicenda di Eluana Englaro per una molteplicità di motivi.<br /> In primo luogo, per il rispetto che andrebbe comunque tributato ai protagonisti di simili tragedie, tanto profondamente umane e tanto diverse dalle questioni, solitamente a carattere politico o storico, a proposito delle quali chi mi conosce sa che sono invece sempre ben pronto a lanciarmi in ogni disputa con la mia consueta mancanza di preconcetti e peli sulla lingua. In secondo luogo perchè, contrario ad ogni pratica di accanimento terapeutico non meno che a quelle in cui una vita umana di per sè in grado di proseguire il suo corso senza l'aiuto artificiale di fantascientifici macchinari viene soppressa (vedi quindi aborto, eutanasia, pena di morte ecc.), non mi ero ancora del tutto convinto del fatto che quel "nutrimento" costantemente somministrato ad Eluana - non certo a base di pane e salame, bensì di chissà quale pozione preparata da personale medico altamente specializzato ed introdotta nel corpo tanto invasivamente con un sondino - non costituisse, dopotutto, proprio una sorta di accanimento terapeutico, più che un semplice dare da mangiare e da bere ad una donna si affetta da gavissima disabilità, ma con organi vitali perfettamente in grado di funzionare da soli senza ausilii "meccanici", ovviamente a condizione, come avviene per tutti noi, che la persona venga in qualche modo nutrita ed idratata.<br /> In più, ad aumentare la mia perplessità, c'era quella sentenza della Cassazione che autorizzava la sospensione del trattamento alla paziente, di fronte alla quale mi era difficile credere che lo stato stesse avallando, in quel modo, una vera e propria eutanasia; quindi qualcosa doveva per forza sfuggirmi.<br /> Ora, tuttavia, con l'avvio dell'atto finale della vicenda, e quindi con l'intensificarsi del dibattito e delle manifestazioni attorno alla casa di riposo teatro dell'evento "La Quiete" (il cui nome suona, a questo punto, oltremodo ironico), nonchè dei tentativi di ogni genere per cercare di fermare tutto in extremis, qualcosa comincia ad apparire sotto una luce più chiara.<br /> Si: non c'è più alcun dubbio che in quella struttura udinese si stia consumando un omicidio. Un omicidio del tutto particolare, intendiamoci, con moventi che affondano le radici in indescrivibili travagli d'animo e sofferenze nelle decisioni da prendere, un omicidio per certi versi simile a quello che commette la donna che abortisce e non ai delitti, per dire, di mafia, ma pur sempre un omicidio, e non il semplice stacco della spina a macchinari sofisticati che fanno funzionare organi vitali altrimenti già da tempo non più in grado di farlo.<br /> Si è voluto giustificare l'avallo giuridico riconosciuto a questa drastica soluzione sbandierando una "presunta" volontà della paziente di rifiutare una vita nello stato vegetativo di questi ultimi diciassette anni: ella avrebbe cioè assistito, prima di finire lei stessa nelle medesime condizioni, alla vicenda di un caro amico ridotto in quello stato in seguito ad un incidente, e si sarebbe fatta promettere di non essere lasciata vivere in quello stato qualora a lei fosse toccata la stessa sorte.<br /> Ma, domineddio, chi di noi non si è mai lasciato andare ad espressioni del genere, o anche ad altre ancora più "forti", sull'onda delle emozioni provocate da una tragedia capitata a persona cara, non essendo tuttavia, in quel momento, neppure sfiorati dall'idea che davvero quello stesso fatto stesse per colpire anche noi a breve termine? Chi può dire che tale sarebbe ancora oggi, oggi che si trova effettivamente in quella terribile circostanza, il reale desiderio di Eluana, che lei ovviamente non può esprimere?<br /> La contrapposizione tra chi propugna la sospensione del trattamento nutritivo alla donna e chi lotta per la salvezza della stessa non si traduce, come è stato detto e scritto da più parti, nello scontro tra "laici" e cattolici. Da liberale sostenitore dello stato laico e della laicità in politica, anche se intimamente cattolico, dico che provocare la morte di un essere umano interrompendo quella nutrizione che rappresenta la sola condizione affinchè esso possa continuare a vivere, sebbene in condizioni di estrema invalidità, dovrebbe andare contro lo stesso diritto naturale, a prescindere assolutamente da qualsivoglia convinzione religiosa.<br /> Se del terribile vuoto legislativo esistente in Italia in materia di comportamenti da tenersi nei confronti di quelle persone che si trovano purtroppo in vario modo intrappolate in quella sorta di ampia "zona grigia" che sta tra la vita e la morte (dai vari gradi di coma alla morte cerebrale) qualcuno ha saputo approfittare per dare una specie di legittimità ad azioni aberranti, sta ora agli organi competenti, Governo e Parlamento, fare di tutto per porvi rimedio con un'urgenza senza precedenti.<br /> Ed è quello che sembra stiano effettivamente facendo.<br /> Nell'attesa, per carità, interrompete quell'interruzione.<br /> Tommaso PellegrinoTommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-2052454870640349224.post-73589367356646952192008-11-15T04:42:00.000-08:002008-11-15T05:47:00.266-08:00DOBBIAMO TUTTI ESSERE "OBAMACONS"?L'interminabile maratona delle elezioni presidenziali americane si è alla fine conclusa, giorni fa, con la vittoria nettissima del primo presidente di colore della storia di quella Nazione: il democratico Barack Hussein Obama.<br /> Francamente non ricordavo un simile coinvolgimento emotivo, da parte dei miei connazionali, in nessuno dei precedenti eventi analoghi di cui conservo cosciente memoria. Sarà per la presunta svolta epocale, e comunque per la sicura novità, rappresentata dall'ascesa alla massima carica politica del Pianeta di un afro-americano relativamente giovane e non apparentemente favorito da natali ed estrazione sociale tali da farcelo immaginare come un predestinato a simili alte vette, sarà perchè la recente, graduale e stentata, trasformazione anche del nostro sistema in qualcosa di vagamente simile alla democrazia dell'alternanza bipartitica d'oltreoceano ci ha di fatto reso più familiare ed appassionante questo genere di sfide elettorali all'ultimo voto tra due candidati, portatori di due diverse idee, alla guida di un Paese, sta di fatto che si sono viste per la prima volta, da noi, vere eproprie manifestazioni di tifo organizzato pro-Obama, con tanto di veglie, specie nelle sedi del PD, in attesa del responso delle urne e commozione fino alle lacrime all'annuncio del risultato.<br /> Per quanto mi riguarda, ancorchè notoriamente mi riconosca nella formazione politica che, in ambito italiano, può dirsi l'omologa del Partito Repubblicano USA, ho fatto mio il pensiero espresso dal nostro ministro della Difesa La Russa, secondo il quale lo schierarsi apertamente per l'uno o per l'altro dei due candidati in un un'elezione presidenziale americana (considerarli cioè "come Coppi e Bartali o come Veltroni e Berlusconi") fa tanto "provinciale", e me ne sono rimasto ad assistere all'evento più o meno distaccatamente, ben conscio del fatto che lì, dopo tutto (al di là dell'innegabile influenza che hanno, sul mondo intero, gli orientamenti dell'amministrazione USA), non si stava decidendo chi sarebbe stato il "mio" presidente, e che l'America rappresenta una realtà troppo diversa da quella nostrana perchè le siano applicabili tout court i consueti criteri d'analisi validi per il panorama italiano.<br /> In altri termini, non poteva e non doveva essere così automatico che, soltanto perchè sostenitori del PDL o del PD in Italia, lo si fosse anche, rispettivamente, di John McCain o di Barack Obama in occasione del loro confronto elettorale per la conquista della Casa Bianca.<br /> Oltreoceano, sotto certi aspetti, si vive infatti pressochè in un altro mondo: l'esistenza di un servizio sanitario nazionale simile a quello italiano, per limitarci ad un solo esempio, qui da noi data per scontata anche dal meno progressista e d assistenzialista dei portatori di un'opinione politica, in America è appena appena timidamente propugnata dai democratici più socialmente sensibili, e figuriamoci se sfiora le menti dei più conservatori.<br /> Se dunque, persino negli stessi Stati Uniti, complice forse il non travolgente carisma del pur onesto patriota e vecchio reduce del Vietnam McCain, si è assistito ad una vera e propria massiccia migrazione di ex repubblicani di ferro nel campo del fascinoso candidato democratico di colore - tra i quali l'ex portavoce di Bush Mc-Clellan, l'ex governatore del Massachussets Weld e l'ex segretario di stato Colin Powell, per i quali è già stato coniato il neologismo "obamacons", cioè consevatori per Obama - a maggior ragione sono state numerose anche le personalità di destra o di centro-destra di casa nostra ad esprimere con decisione analoga preferenza: da un Francesco Storace che è andato a scrivere sul suo blog "Obama o morte", a un Paolo Guzzanti che ha ammesso senza problemi che avrebbe votato per il candidato democratico, a un Frattini che ha dichiarato "Sarebbe un ottimo presidente".<br /> Con Barack Obama, certo ha vinto la voglia di cambiamento degli americani, dopo gli otto anni di un'amministrazione repubblicana non proprio priva di ombre, e si è riaffermata con vigore, nel mondo, la migliore immagine tradizionale di un'America dove tutti possono realizzare i loro sogni, per ambiziosi che siano.<br /> Già questi ci sembrano buoni motivi per ritenerci lieti dell'esito elettorale e per guardare con fiducia al futuro.<br /> Su un piano più concreto, il nuovo presidente promette poi di poggiare la propria futura condotta politica su cardini, per fortuna, ben distanti da certe fantasie riguardanti una sua presunta maggiore arrendevolezza o addirittura un suo quasi "pacifismo", nelle questioni internazionali e di lotta al terrorismo, ricamate su di lui da una certa, in questo forse un po' ingenua, sinistra nostrana, la quale è probabile che rimarrà alquanto delusa di fronte a quella che si rivelerà in seguito la realtà dei fatti.<br /> Per fare qualche esempio, Obama è per la pace in Medio Oriente, ma considera prioritaria su ogni altra considerazione la tutela della sicurezza di Israele; non è disposto ad accettare un Iran con l'arma nucleare e non esclude l'uso della forza contro di esso; vuole andarsene gradatamente dall'Irak, ma anche dedicare maggiori attenzioni all'Afghanistan, sia sotto l'aspetto strettamente militare che sotto quello realisticamente diplomatico, ed è sua intenzione di rinforzare sensibilmente il corpo dei Marines.<br /> Tra i maggiori vantaggi che l'elezione di Obama può portare, rispetto a ciò che ci si sarebbe potuto attendere in caso di una vittoria di McCain, ci sono senz'altro una maggior facilità di superamento di contrasti come quello creatosi recentemente con la Russia, sul piano internazionale, e qualche attenzione in più rivolta al sociale e alla sanità pubblica, su quello interno.<br /> La domanda che ci sorge spontanea, in conclusione, è quindi se, anche per chi si considera senza vergogna un conservatore nel contesto politico della nostra Italia, questo progressista americano possa rappresentare l'uomo in cui riporre le migliori speranze di qualche futura schiarita nell'incasinatissimo mondo in cui ci si ritrova a vivere.<br /> Allo stato attuale delle cose, credo che si possa azzardare una risposta positiva al quesito.<br /> Può darsi che gli "obamacons" siano una categoria destinata a crescere anche in Italia.<br /> Tommaso PellegrinoTommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-2052454870640349224.post-35579267839489357622008-10-28T09:08:00.000-07:002008-10-28T10:54:21.893-07:004 NOVEMBRE: FESTA DI TUTTI GLI ITALIANI O SOLTANTO DI QUALCUNO?Siamo uno strano popolo, forse unico: neppure le feste solenni e le date simboliche che maggiormente rappresentano tappe salienti e drammatiche del nostro cammino, durato oltre un secolo, verso le conquiste dell'unità nazionale, della totale libertà da ogni dominazione straniera e della più piena democrazia riescono ad accomunarci tutti in un sentimento (che dovrebbe collocarsi, una volta tanto, al di sopra delle meschine divisioni politiche) di celebrazione di eventi epocali che hanno cambiato il destino di ogni italiano indistintamente, e di composta riconoscenza nei confronti di quanti, in quelle circostanze, si sono inevitabilmente sacrificati di persona (trattandosi quasi sempre di fatti di sangue).<br /> No: ognuna di queste ricorrenze deve puntualmente divenire occasione di strumentalizzazioni, per i propri fini, da parte di questo o quello schieramento politico, o di reciproche accuse, tra le fazioni, di farne delle feste di parte o di volersene appropriare in maniera esclusiva. Ne sono tipici esempi il 20 settembre, quando, nell'ultimo anniversario della conquista militare della nostra capitale, qualcuno sembra aver dato adito a sospetti di nutrire forse eccessive simpatie per i caduti di parte papalina; o il 25 aprile, che da sempre divide grottescamente gli italiani tra chi lo considera quasi esclusivamente una festa propria e chi invece non lo ritiene neppure una festa.<br /> Ultimo "pomo della discordia" in ordine di tempo è il 4 novembre, anniversario (quest'anno il 90°) della Vittoria italiana sull'Austria-Ungheria nel primo conflitto mondiale, che fra poco si festeggerà con insolita pompa (parate, bande militari, concerto di Andrea Bocelli ecc.) e in occasione del quale il ministro della Difesa La Russa ha deciso di sguinzagliare per tutta Italia ufficiali dell'esercito con il compito di tenere lezioni sulla Prima Guerra Mondiale nelle scuole, venendo così accusato, da stampa ed illustri esponenti per lo più di sinistra, di orchestrare "la più imponente manifetazione di propaganda militare che l'Italia repubblicana abbia mai messo in piedi", anzi: di rischiare di fare apparire le forze armate uno strumento di parte "al servizio di propaganda politica".<br /> In effetti, l'esperienza della partecipazione italiana alla Prima Guerra Mondiale, benchè altissima espressione di strenua lotta patriottica per la liberazione di una grossa fetta del Paese da una dominazione straniera tirannica, ha più di una carta in regola per risultare invisa alla sinistra odierna: intanto, trattasi di una guerra "classica", simmetrica, combattuta tra nazioni (per lo pù monarchie) mandando purtroppo a farsi macellare al fronte moltitudini di coscritti arruolati in eserciti regolari, e non - diversamente, ad esempio, dalla Resistenza- di un'epopea bellica nata da un impulso di ribellione dal basso, meglio ancora se condita da velleità rivoluzionarie proletarie, di quelle guerre, insomma, che, pur sanguinosissime e con punte di crudeltà spesso sconosciute alle altre, ai nostri sinistrorsi, sempre "pacifisti", non dimentichiamolo, nel solo senso che interessa a loro, non sono mai affatto dispiaciute. In secondo luogo, ad essere contrarie all'intervento nel conflitto '15-18 furono principalmente appunto le sinistre "ufficiali" dell'epoca, mentre i favorevoli a quell'avventura, o almeno i più visibili e chiassosi tra essi, furono invece proprio quei simpaticoni di varia appartenenza ideologica e sociale che, qualche anno dopo, avrebbero trovato una casa comune nel vituperato fascismo, e quegli intellettuali alla Papini che soffiarono sul fuoco con scritti del genere di "Amiamo la guerra!".<br /> Altri elementi sono poi stati portati a sostegno dei propri punti di vista, nel dibattito scaturito negli ultimi giorni sull'argomento, da quegli autorevoli personaggi partcolarmente perplessi sull'opportunità di celebrare il 4 novembre nelle modalità decise, per quest'anno, dal governo: dall'inettitudine ed insensibilità dimostrate da comandanti come Cadorna nel mandare al macello una generazione in ripetuti, inutili e fallimentari attacchi sull'Isonzo, all'orrore delle decimazioni, alla dichiarazione di guerra all'Austria che sarebbe stata un deplorevole atto di "aggressione", non dettato da esigenze di difesa e, per di più, perpetrato contro il volere del Parlamento.<br /> Di tutto questo campionario di osservazioni in negativo, qualcosa è inconfutabile, come la stoltezza e la mancanza di considerazione per la vita umana propria della strategia cadorniana o il fatto delle decimazioni, che effettivamente ci furono, sebbene, sotto detti punti di vista, noi italiani non costituivamo certo un'eccezione, nel panorama di tutti gli eserciti allora impegnati nell'"inutile strage". Su altre asserzioni è invece doveroso controbattere. E'ben vero, ad esempio, che, tra Italia ed Austria, quella che dichiarò per prima guerra all'altra fu l'Italia, ma è anche vero che, quando ciò accadde, era già in corso una guerra delle democrazie occidentali, più la Russia, contro gli Imperi Centrali, innescata proprio dall'attacco mosso dall'Austria alla Serbia quasi un anno addietro, in seguito all'attentato di Sarajevo. In base alla stessa logica, dovremmo allora considerare atti di aggressione anche i nostri recenti interventi armati in Irak (1991) e Serbia, in quanto Saddam Hussein e Milosevic non attaccarono certo per primi l'Italia, ma, rispettivamente, il Kuwait e il Kosovo, provocando reazioni internazionali cui si ritenne doveroso partecipare.<br /> L'intervento nel conflitto europeo poteva apparire, anche ad esponenti di equilibrio e moralità indubitabili, come un'occasione irripetibile per chiudere definitivamente la partita con il grande nemico storico (malgrado l'alleanza senza amore che durava ormai da trent'anni con esso) e completare così il processo risorgimentale; una linea forse ritenibile più efficace di quella, suggerita da Giolitti, di barattare concessioni territoriali con il mantenimento della nostra neutralità.<br /> Ad aderire all'interventismo non furono infatti soltanto futuri fascisti, esaltati nazionalisti o intellettuali in preda a "vergognoso bellicismo", come lo definisce Angelo D'Orsi, alla Papini (le cui performances letterarie di allora non andrebbero comunque giudicate con i criteri odierni), ma anche sinceri democratici come Bissolati e Salvemini, future vittime del fascismo come Giovanni Amendola, Antonio Gramsci e Carlo Rosselli, e persino quello stesso Ungaretti che proprio il quotidiano della sinistra radicale "Liberazione" invita a leggere, come antidoto al presunto clima di esaltazione bellica, anzichè celebrare il 4 novembre.<br /> Quanto al voto favorevole all'entrata in guerra da parte del Parlamento, infine, questo formalmente ci fu, anche se la maggioranza dei parlamentari in carica era in origine contraria ed il loro cambio di orientamento fu non poco forzato dalla virulenza delle manifestazioni di piazza pro intervento e dal clima di inevitabilità della grande prova internazionale venutosi a creare.<br /> Fatte queste precisazioni, sia scolpito a chiare lettere, scopo degli eventi celebrativi collegati a questo 90° anniversario della Vittoria del 1918 non è quello di promuovere una propaganda militarista che esalti il ricorso alla guerra e neghi le tragedie, le negligenze e perfino i crimini che caratterizzarono tanti aspetti della conduzione di quella che passò alla Storia come la Grande Guerra.<br /> Occorre invece che tutti gli italiani, e specie le generazioni più giovani, abbiano coscienza dell'evento colossale in grado di amalgamare per la prima volta tutti gli italiani delle più disparate provenienze regionali e sociali in uno sforzo eroico che - specie nell'ultima fase della guerra, con una fetta considerevole di territorio nazionale invasa dal nemico e quindi con la nascita di nuove spinte motivazionali e l'attenuazione delle divergenze di vedute sul conflitto tra connazionali - li fece sentire veramente una nazione e portò ad una liberazione dallo straniero in tutto paragonabile a quella che sarebbe poi avvenuta nel 1945.<br /> Questa consapevolezza dev'essere patrimonio di tutti noi, e i ricordi commossi di enrtrambi questi eventi tanto decisivi della nostra Storia non possono essere appannaggio di una sola parte e divenire fattori più di divisione che non di unione.<br /> Dio ci salvi dall'avere un 25 aprile festa della sinistra ed un 4 novembre festa della destra.<br /> Tommaso PellegrinoTommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-2052454870640349224.post-75586986198849677082008-09-13T04:49:00.000-07:002008-09-13T05:53:59.793-07:00QUEL PASSATO CHE NON VUOLE PASSARE...Sono ormai trascorsi più di sessant'anni dai fatti in questione, cioè dagli eventi che hanno diviso gli italiani tra i due schieramenti contrapposti nella più cruenta guerra civile della loro storia recente, e ancora non si è giunti ad un'autentica rappacificazione nazionale basata sul pieno riconoscimento, da parte di tutti, di valori indiscutibili e condivisi, dai quali partire per andare avanti, e sulla consegna definitiva alla Storia di quei tragici eventi passati; consegna alla Storia che, chiaramente, non può inendersi come archiviazione nel dimenticatoio degli avvenimenti stessi o come un impossibile, e neppure auspicabile, "embrassons nous" generale suggellante l'equiparazione tra loro di tutte le scelte di campo operate allora, valutando con il solo criterio della "buona fede" di chi le fece, ma che, al contrario, deve fondarsi sulla finalmente chiara, netta e definitiva pubblica ammissione da parte di tutti che una sola delle due cause in gioco nel '43-45 fu quella giusta, a prescindere dai singoli episodi di comportamento eroico o di condotta infame registrati da una parte come dall'altra, e sul conseguente abbandono dell'odiosa abitudine a strumentalizzare meschinamente, per i propri fini politici contingenti, ogni più piccola frase pronunciata dall'avversario, su tali argomenti, che si presti allo scopo, come appunto accaduto con le dichiarazioni di Alemanno e La Russa in occasione delle recenti rievocazioni dell'8 settembre e dei primi atti della Resistenza.<br /> Le pretese, avanzate in passato, e parzialmente ancora oggi, da una certa estrema destra, di collocare sullo stesso piano la scelta fatta da chi, nel 1943 ed oltre, si schierò a favore del ristabilimento della libertà e della democrazia, in via di inevitabile affermazione sull'onda dell'ormai scontato esito degli eventi bellici, e quella propria di quanti invece perseverarono nella guerra ormai irrimediabilmente perduta, ma combattuta nel campo delle forze della barbarie, con la sola giustificazione della "buona fede" che avrebbe animato questi ultimi, non possono trovare accoglimento.<br /> La buona o cattiva fede ispiratrice di ognuno, o le circostanze fortuite per le quali in molti si ritrovarono tra le file "repubblichine", dovrebbero essere valutate caso per caso e senz'altro ci indurrebbero a provare profondi sentimenti di rispetto per parecchi di questi combattenti individualmente considerati, ma non possono pesare sul giudizio complessivo di totale negatività della causa per la quale essi, pure talvolta eroicamente, si batterono: una causa il cui trionfo avrebbe significato la vittoria della più brutale violenza, dell'oppressione, dell'intolleranza.<br /> Ora, un dato di fatto è che chi detiene in questo momento la responsabilità del governo del nostro Paese, ancorchè "di destra", questi concetti sembra averli, grazie a Dio, assimilati perfettamente: il ministro della Difesa, ad esempio, nel suo discorso per commemorare gli eventi di Porta San Paolo ha inequivocabilmente lodato quel primo atto resistenziale ed esaltato quanti, in generale, hanno ridato libertà e democrazia all'Italia. Il cosiddetto "omaggio" da lui rivolto al mirabile comportamento sul campo di un reparto schierato "dalla parte sbagliata" rientra semplicemente tra quei riconoscimenti di singoli atti di valore che onestamente sono dovuti, ma che non implicano nessun mutamento di giudizio sulla causa "politica" al servizio della quale quegli uomini si battevano.<br /> Pertanto, la polemica innescata dalla solita nostra bella sinistra su quelle poche parole pronunciate quasi in un inciso ci pare ancora una volta del tutto sterile e pretestuosa; tanto più se si tiene conto, ad esempio, che fu proprio un alto esponente di quello stesso versante politico, Violante, a lanciare anni fa un ben più clamoroso invito ad essere comprensivi verso la scelta fatta dai giovani combattenti di Salò, non riscuotendo altro, allora, che calorosi applausi bipartisan.<br /> Se davvero , a questi signori, si volesse rendere pan per focaccia, non ci si metterebbe molto a rinfacciare loro i fini rivoluzionari - e quindi miranti non a restaurare in Italia la democrazia liberale, bensì ad impiantarvi un regime di tipo sovietico - propri delle ali più estremiste dello schieramento resistenziale di sessant'anni fa, ogni volta che oggi gli eredi di queste pretendono di incarnare la parte maggioritaria e migliore dei quei combattenti per la libertà, quasi negando agli altri il diritto di condividere celebrazioni che dovrebbero in realtà appartenere a tutti gli italiani, come quelle del 25 aprile.<br /> Ma non ci pare il caso di farlo, in quanto ci rendiamo perfettamente conto di quanto quelle realtà siano ormai cose totalmente estranee anche ai più diretti dei loro lontani discendenti del 2008.<br /> Concludendo, infatti, per una vera rappacificazione nazionale, perchè davvero passi quel passato che non sembra volerlo fare, non occorre certo dimenticare la Storia, maestra di vita, nè tantomeno assolversi reciprocamente da ogni responsabilità, ma si deve serenamente accettare che si tratta di un capitolo completamente diverso dalle vicende attuali, con le quali non deve continuamente mescolarsi.<br /> Tommaso PellegrinoTommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2052454870640349224.post-46445729815326196252008-07-12T04:51:00.000-07:002008-07-12T06:35:21.880-07:00I COMICI CHE NON FANNO PIU' RIDERE NON DEVONO ESSERE I PADRONI DELLA SCENACon l'ultimo post pubblicato su questo blog, risalente ormai a quasi due mesi fa, ci eravamo lasciati in una situazione che sembrava preludere all'instaurarsi di un clima politico finalmente soddisfacente, o quanto meno da paese "normale", in un'Italia fino ad allora travagliata (l'assonanza di questa parola con il cognome di uno dei massimi animatori delle più squallide esibizioni, di piazza e non di piazza, da sempre miranti a mantenere il livello del confronto tra le parti politiche nazionali il più possibile lontano dai canoni di civiltà e rispetto reciproco auspicabili in ogni paese, è puramente voluta) da una contrapposizione quasi violenta tra i due schieramenti del precedente imperfetto bipolarismo, dall'eccessiva eterogeneità e numerosità dei partitini che componevano i medesimi ed alla presenza al loro interno di flange estremiste che rendevano difficile l'assunzione di posizioni comuni e quindi l'azione di governo.<br /> Con l'avvento dell'attuale esecutivo targato centro-destra, sostenuto da una maggioranza parlamentare più che solida, una nuova epoca sembrava infatti sul punto di inaugurarsi: blocchi di maggioranza e di opposizione finalmente sufficientemente omogenei, estromissione dalle Camere delle formazioni estremiste di entrambi i versanti, quasi un bipartitismo con non più di un paio di gruppi parlamentari per parte, definizione di ruoli chiari e distinti e perciò niente "inciuci", certo, ma anche niente avversione pregiudiziale e buoni propositi di disponibilità al dialogo e alla collaborazione "bipartisan" laddove possibile ed auspicabile.<br /> Appunto a quasi due mesi da quell'esordio, non si può fare a meno di notare quanto il quadro idilliaco appena descritto appaia, purtroppo, non poco deturpato.<br /> La squadra Berlusconi non ha perso tempo ad avviare i programmi per i quali gli italiani le avevano affidato il timone del Paese, e lo ha fatto con una determinazione alla quale non si era più abituati e che ha offerto inevitabilmente il destro agli attacchi strumentali di coloro che, quando si trovavano essi stessi al governo, si trovarono impossibilitati ad operare con analoga incisività a causa della debolezza della loro maggioranza e delle divisioni interne.<br /> Così, ecco che norme istituite a tutela di minori nomadi ridotti peggio che in schiavitù dagli adulti del loro stesso popolo sono diventate "razziste"; altre, che istituiscono una immunità per i massimi vertici dello Stato (immunità prevista anche in altri paesi civili a tutela anche dello stesso diritto degli elettori di essere governati da chi hanno votato) sono state bollate come "ad personam" nell'esclusivo interesse del premier; persino provvedimenti a favore delle classi meno abbienti come l'abolizione dell'ICI prima casa, la Robin Tax e la "card" per anziani sarebbero bazzecole di pochissimo conto, quando non misure dannose o addirittura umilianti, e avanti di questo passo.<br /> Nel campo dell'opposizione, rispetto a quanto sembrava profilarsi due mesi fa, la degenerazione della situazione è stata paurosa.<br /> Per le ultime elezioni, il buon Veltroni aveva lasciato a piedi quello che, al confronto, può ritenersi un perfetto gentiluomo come il socialista Boselli, solo perchè questi non voleva saperne di integrarsi totalmente nel PD, ed aveva invece imbarcato il più illiberale, forcaiolo ed antigarantista ex magistrato della storia patria, siccome questi aveva finto di accettare la condizione di entrare, dopo, in un unico gruppo parlamentare con il Walter nazionale. Poi, l'ex magistrato forcaiolo il gruppo parlamentare unico si è guardato bene dal farlo e si è buttato a pesce, anzi, a riempire il vuoto lasciato dalla scomparsa dal Parlamento della sinistra radicale, quale alimentatore del vecchio, perfido odio antiberlusconiano pregiudiziale, che si pensava pressochè archiviato all'atto del varo del nuovo governo. E' di questi giorni la rottura forse definitiva dell'ex magistrato forcaiolo con Veltroni, il quale, nella praticabilità di un'opposizione civile, probabilmente crede ancora e gli ha imposto l'aut-aut: o con me, o con qei nuovi compagni di strada che ti sei scelto.<br /> Già, perchè il nostro ha scelto di affiancarsi, nella sua lotta anti-cavaliere, ai patetici ex comici e tristi figuri vari che, nel corso della manifestazione romana di pochi giorni fa, hanno dato il peggior spettacolo di inciviltà e di volgarità che potessero dare, con tanto di offese inaccettabili dirette al Papa, al Presidente della Repubblica e a chi più ne ha ne metta, al punto da indignare non solo il capo dell'opposizione più istituzionale, Veltroni, ma persino molti degli stessi esponenti dell'ultrasinistra recentemente uscita dal Parlamento e di altri antiberlusconiani di ferro come il regista Nanni Moretti, che Dio non voglia dovessimo, di questo passo, finire per rimpiangere.<br /> Per comportamenti di questo genere non ci dev'essere indulgenza. Per l'inciviltà e l'intolleranza, niente tolleranza. Quei comici che non fanno più ridere non devono essere i padroni della scena. Fare satira è un diritto e fa ridere, ma la loro non è più satira.<br /> Sotto le luci della ribalta deve tornare lo spettacolo di una politica sana e seria, di governo e di opposizione.<br /> Tommaso PellegrinoTommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2052454870640349224.post-45723057447357269322008-05-24T04:56:00.000-07:002008-05-24T05:59:30.424-07:00CAMPA' IN UN PAESE NORMALE? ORA (FORSE) SE PO' FA'.Sembra che, finalmente, la nostra Italia abbia ora l'occasione per avviarsi piano piano sulla strada per diventare quello che si può definire semplicemente un Paese normale, il che vale a dire nulla di speciale o di eccezionale, anzi, qualcosa di cui è piena l'Europa ed il resto del mondo civilizzato, ma anche qualcosa che, per noi, rappresenta già un enorme passo avanti rispetto a quello che siamo stati sino a pochissimo tempo fa. Dov'era, infatti, la normalità in un sistema nel quale, ad ogni cambio di colore politico della maggioranza, la prima preoccupazione dei nuovi padroni del vapore era quella di smantellare il più possibile del lavoro fatto dai predecessori? In una situazione che vedeva i governi paralizzati più dai capricci delle flange meno responsabili interne alle proprie eterogenee coalizioni di riferimento che non dall'opposizione vera e propria? In un'impotenza ad intervenire efficacemente su problemi quali i rifiuti della Campania o i pericoli e disagi connessi all'immigrazione incontrollata e clandestina, tanto da lasciarli scivolare fino a livelli di gravità inconcepibili in qualsiasi parte del mondo civile, e in tante, tante altre piacevolezze che ci hanno cullato in tutti questi anni che ci è piaciuto definire "di transizione", pur senza sapere bene di che transizione si trattasse e verso che cosa?<br /> L'ovvia risposta è che, in tutto questo, non c'era proprio traccia di normalità.<br /> Ora invece, scomparso finalmente il governo più pazzo del mondo, che non ha rinunciato ad elargirci le nefandezze più impensabili sino ache ha avuto un alito di vita (l'ultima quella dei redditi degli italiani sbattuti sul web, alla mercè di chiunque sul pianeta volese servirsene per fini leciti e non), e con l'avvento del nuovo esecutivo, sin dalle sedute parlamentari per la fiducia qualcosa sembra essere cambiato.<br /> Favorito anche dalla mancata elezione in Parlamento di elementi radicali di entrambe le sponde, nelle aule dove si decideva la fiducia si è subito stabilito un inedito clima di serietà e serenità nei rapporti maggioranza-opposizione, di intenzione di entrambe a giocare i propri ruoli senza pregiudizi, e dialogando e venendosi anche incontro dove ciò è possibile ed auspicabile: Berlusconi ha lanciato lì, non senza bonaria presa in giro del motto sbandierato da Veltroni per tutta la campagna elettorale, la battuta in romanesco "Se po' fa'"; non sono mancati neppure degli applausi bipartisan, così come non è mancato qualche squallido rigurgito dei vecchi toni di contrapposizione violenta e pregiudiziale, già all'interno del Parlamento durante la seduta stessa (Di Pietro) e, successivamente, fuori dalle aule (Travaglio), ma, nel complesso, il nuovo stile instauratosi nei rapporti tra i due schieramenti pare evidentissimo, il rispetto reciproco è fuori discussione e l'opposizione ha creato un "governo ombra", com'è nella migliore tradizione anglosassone, che sembra avere iniziato a svolgere il suo compito seriamente.<br /> Qualcuno dirà che, così, la politica è diventata piatta, che, essendo ormai rappresentati in Parlamento quasi soltanto i due maggiori partiti, già "accusati" in campagna elettorale di avere programmi molto simili tra loro, è praticamente venuta a mancare una vera opposizione. Invece, è questo il panorama politico di un Paese finalmente normale: quelle che oggi mancano, e delle quali non si ha alcuna nostalgia, sono in realtà soltanto le chiassate delle forze della contrapposizione a tutto e a tutti per partito preso, dell'odio fine a sè stesso verso l'avversario, dell'impedimento ad un'efficace opera di governo, ma l'opposizione, quella vera, c'è da giurare che, quando sarà il momento, si farà sentire eccome, ed il governo la starà ad ascoltare, com'è giusto che sia in ogni autentica democrazia che si rispetti.<br /> A Napoli si sono già senz'altro viste importanti conseguenze della svolta avvenuta: "monnezza" campana e disastri dell'immigrazione selvaggia sembrano sul punto di venire affrontati con determinazione, mezzi ed energia prima impensabili.<br /> Il governo appare efficiente, coeso al proprio interno e volitivo; l'opposizione si direbbe sufficientemente "collaborativa", composta ormai da persone responsabili, realisticamente coscienti che la risoluzione di problemi tanto macroscopici non può non anteporsi a qualsiasi logica di contrapposizione pregiudiziale o ideologica tra fazioni.<br /> Vivere dunque in un Paese normale, potendo contare su una dirigenza rinnovata che consideri un punto di partenza, e non di arrivo, l'insediamento al governo dopo essere stata eletta dai cittadini, e che quindi si rimbocchi sul serio le maniche per ricercare immediatamente soluzioni che non possono più aspettare, una dirigenza controllata, ma non sabotata, da un'opposizione intelligente e costruttiva, forse, per gli italiani, oggi "se po' fa'".<br /> Tommaso PellegrinoTommaso Pellegrinohttp://www.blogger.com/profile/16152741397208500050noreply@blogger.com0