venerdì 25 marzo 2011

LIBIA: UNA SOLA CERTEZZA E TANTE INCOGNITE.


E' partita. L'operazione militare "Odissea all'alba", autorizzata dalla risoluzione Onu n. 1973 e tesa ad impedire, con tutti i mezzi necessari tranne l'occupazione militare, una prevedibile carneficina di ribelli e semplici cittadini da parte delle forze rimaste leali al leader libico Gheddafi - riavutesi dai pochi giorni di sbandamento iniziale e tornate ad essere quelle inevitabilmente destinate a prevalere salvo il caso, appunto, di decisi interventi dall'esterno - oltre che a stabilire la famosa "no-fly zone" nei cieli interessati, è scattata da una settimana e ad essa partecipa attivamente anche l'Italia. La missione è stata quasi fanaticamente propugnata da Francia e Regno Unito, appoggiata dalla Lega Araba, accettata un po' "obtorto collo" da Italia e Stati Uniti, e decisamente non ben vista da Germania, Russia ed altri.

Prima di esprimere considerazioni su quanto sta avvenendo attualmente, sarà utile un breve riepilogo dei fatti che hanno portato alla presente situazione, e mai trattati in precedenza su questo blog.

Diciamo intanto che la comunità internazionale, nei confronti del regime libico di Gheddafi, in un primo momento, dopo gli exploits iniziali della rivolta scoppiata soprattutto in Cirenaica, con la liberazione pressochè totale di quella regione dalle forze governative, aveva già venduto, come suol dirsi, la pelle dell'orso prima di averlo ucciso.

Da qualche tempo si stava infatti allora assistendo ad analoghe sollevazioni, in Tunisia ed Egitto, che già avevano portato, senza eccessivi spargimenti di sangue, all'uscita di scena dei rispettivi leaders Ben Alì e Mubarak e all'inizio di transizioni più o meno ordinate, per lo più gestite dalle influenti classi militari locali e, si spera, orientate verso futuri assetti più democratici di quelli precedenti, data anche la rassicurante mancanza di un evidente matrice estremista islamica nei movimenti propugnatori del cambiamento in quei paesi. Analogamente e a maggior ragione, quindi, di fronte all'iniziale successo di insorti libici capaci di conquistare l'intera Cirenaica ed altre zone, di far passare dalla propria parte truppe ex governative, comandanti militari, ministri del regime, ambasciatori all'estero, di costituire un nuovo quasi-stato nelle terre liberate, con la sua capitale Bengasi, il suo "governo" (il Consiglio Nazionale di Transizione) ed il suo esercito raccogliticcio, ma discretamente armato, straordinariamente motivato, sottoposto ad addestramento e pronto a balzare alla conquista del resto del Paese, il mondo finì per ritenere ormai spacciato, un po' troppo frettolosamente, come si sarebbe visto in seguito, anche il dittatore di Tripoli Colonnello Gheddafi.

Contro di lui, per l'efferatezza con la quale reprimeva le manifestazioni dei dissidenti, facendo sparare indiscriminatamente su di loro e (pare) bombardandoli persino con l'aviazione, la condanna internazionale fu particolarmente severa, prevedendo il deferimento alla Corte dell'Aja, il congelamento dei beni ed altre sanzioni, sempre dando ormai per scontato l'imminente tramonto del suo più che quarantennale regime.

Ferme restanti la vicinanza e la solidarietà sempre dovute alla causa di chiunque sinceramente lotti e paghi di persona per la vera libertà, è tuttavia d'obbligo qualche considerazione di politica realistica che rende legittimo il non accodarsi del tutto acriticamente all'entusiasmo incondizionato delle solite anime belle nostrane, che già immaginano il rifiorire di tante perfette democrazie in stile anglosassone o svizzero in luogo dei regimi dei vari raìs nordafricani caduti come tessere di un domino: in quella parte del mondo, non dimentichiamolo, si sono dissolti governi indubbiamente dispotici al loro interno, ma sicuramente (per Gheddafi il discorso sarebbe un po' più complesso) leali verso l'Occidente, garanti di decenni di stabilità e, soprattutto, laici ed in grado di costituire un buon argine contro il pericolo del fondamentalismo islamico ad un passo dalle nostre coste; con la loro caduta non è affatto detto che le cose non possano effettivamente migliorare, ma le incognite sono tante e certo qualche cautela per il futuro di regioni dall'equilibrio tanto delicato non può non pesare sull'appoggio da accordare a chi eventualmente insorga per stravolgerne l'assetto, appoggio che può e deve essere invece pieno e senza riserve nel caso, ad esempio, dei dissidenti iraniani, in lotta appunto contro un regime dei più intransigentemente integralisti, e pericolosi per la pace e gli equilibri mondiali, già al potere, al quale ben difficilmente potrebbe subentrare qualcosa di peggio, in caso di sua caduta.

Per noi italiani in particolare, poi, la situazione nordafricana ha presentato aspetti ancora più critici ed imbarazzanti: siamo il Paese europeo geograficamente più prossimo all'area in questione;già con la caduta del regime tunisino gli sbarchi di disperati sulle nostre coste sono sensibilmente aumentati; proprio con Gheddafi avevamo addirittura stretto un patto di amicizia che funzionava discretamente specie nella parte relativa alla collaborazione per far fronte all'immigrazione clandestina nel nostro Paese, e, in ogni caso, eravamo tra i paesi con maggiori rapporti economico-commerciali con la Tripoli del Colonnello. Come biasimare, quindi, data questa nostra particolare posizione, la prudenza e l'apparente ritardo del presidente Berlusconi nell'unirsi al coro internazionale di condanna senza appello all'indirizzo di Gheddafi, prima che fosse effettivamente chiara la gravità di quanto stava accadendo in Libia?

Quando fu evidente il fatto che Tripoli andava reprimendo con violenza inaudita, persino tramite aviazione, le manifestazioni popolari anti-regime e che, così facendo, si era ormai nuovamente fatta mettere al bando dalla comunità internazionale, mentre una nuova Libia sembrava invece sorgere dalla ribellione, con buone prospettive di riuscire a prevalere sulla vecchia entro breve, nessuno, neppure Roma, potè più negare che il regime di Gheddafi non potesse più essere considerato un interlocutore praticabile e fare mancare la propria condanna ferma ad ogni massacro di civili.

Il dittatore libico, dato ormai quasi per spacciato, è però meno alla frutta di quanto non si creda: ha forze sufficienti per passare al contrattacco e lancia all'indirizzo dei suoi nemici agghiaccianti minacce di compiere autentici macelli che, c'è da giurarci, potendo manterrebbe sicuramente, data la sua fama di uomo tragicamente di parola.

Con la capitale degli insorti, Bengasi, sul punto d essere assaltata dai governativi, e quindi senza realistica speranza di scampare alla terribile vendetta del raìs, a meno di un tempestivo intervento dall'esterno, su sollecitazione soprattutto di Francia, Gran Bretagna e Lega Araba, viene emessa la risoluzione Onu n. 1973 concernente l'intervento militare internazionale per l'istituzione della "no-fly zone" sulla Libia e la protezione delle popolazioni civili dalle rappresaglie del regime.L'Italia, anche per la sua posizione geografica, che comporta l'avere sul proprio suolo le basi più idonee da mettere a disposizione degli Alleati per sferrare gli attacchi aerei, non può tirarsi indietro dal partecipare all'impresa e così inizia la strana "guerra" (le virgolette sono d'obbligo poichè oggi, la guerra, nessuno più la dichiara nè la chiama con il suo nome) che stiamo vivendo in questi giorni.

E' una situazione con una sola certezza e tante incognite. La prima è che almeno qualcuno, tra gli Alleati, stia operando più per l'abbattimento del regime di Gheddafi che non per proteggere le popolazioni civili e che, probabilmente, non mollerà fino a risultato raggiunto, anche a costo di andare ben oltre quanto contemplato dalla risoluzione Onu autorizzante l'intervento armato; quanto alle seconde, c'è solo l'imbarazzo della scelta di quale nominare per prima: intanto, non sappiamo chi siano davvero gli insorti che stiamo aiutando, quale peso abbiano, nelle loro fila, eventuali elementi integralisti islamici e quale Libia futura si prepari in caso di loro successo finale, con quali conseguenze per i nostri interessi economici, nel campo energetico come della lotta all'immigrazione clandestina; inoltre, per guardare all'immediato, non si è ancora neppure risolto bene il dilemma di chi debba avere il comando della nostra coalizione e, tra i paesi membri, si rilevano divergenze di vedute non indifferenti, con un esagerato protagonismo della Francia, che molti osservatori imputano alla volontà di voler soffiare, soprattutto all'Italia, i rapporti privilegiati nel campo commerciale e del petrolio con la Libia che verrà.

In tanta poca chiarezza, un elemento sembrerebbe apprezzabile in quanto previsto dalla risoluzione 1973, e c'è da sperare che venga rispettato fino in fondo: l'esclusione tassativa di un'occupazione del suolo libico con truppe terrestri straniere. Così, qualsiasi futuro assetto politico finisca per stabilirsi in quelle terre alla fine della tempesta, sarà comunque almeno un prodotto atoctono.

Dopo l'Iraq e l'Afghanistan, di altri esperimenti di esportazione della democrazia sulla punta delle baionette occidentali non si sentirebbe davvero la mancanza.

Tommaso Pellegrino

3 commenti:

marshall ha detto...

Tommaso,
complimenti per il ritorno alla scrittura. Il titolo mi preannuncia un articolo soporifero, e, credo di poter dire, con qualche spunto diverso dal consueto.

marshall ha detto...

A proposito, l'orario indicato in fondo al commento è indietro di 8 ore: in realtà erano le 13,35.

nonno enio ha detto...

Libia una sola certezza: correre più degli altri per arruffianarsi i ribelli e poter attingere greggio dalle loro immense riserve di petroli.