giovedì 27 dicembre 2007

AUGURI A TUTTI. ANCHE A CHI...

Giunti al termine di questo benedetto 2007, si ha la netta sensazione di trovarsi ad assistere, oltre che all'astronomicamente inevitabile fine di un ennesimo giro del povero Pianeta attorno alla sua fulgida Stella, con contemporaneo inizio di un nuovo tragitto d'identico percorso, anche all'inizio e alla fine di ben alttre cose, che, per il momento ci è alquanto difficile definire con chiarezza, sicché, affinchè tutto possa filare liscio, o almeno si possano limitare al massimo i disastri, ci si sente motivati a scambiarsi i consueti auguri per il nuovo anno caricando gli stessi di particolari significati ed intendendo scongiurare particolari ansie.
Nel variopinto mondo della politica interna, ad esempio, sembrano ormai chiare e scontate solamente due cose: che nulla appare più chiaro e scontato a nessuno, neppure agli addetti ai lavori, e che un'intera epoca è ormai in agonia, per non dire già conclusa. Il bello starà ora nel vedere che cosa il nuovo anno, e insieme la nuova stagione politica, ci riserverà.
Il bipolarismo "vecchia maniera", per intenderci quello che ci ha tenuto compagnia all'incirca negli ultimi tredici anni, è agli sgoccioli; ciò che ne prenderà il posto potrà significare un perfezionamento del sistema da esso indiscutibilmente prodotto, basato su principi quali l'alternanza al potere tra due idee contrapposte ad ogni lizza elettorale e la scelta diretta da parte dei cittadini dei capi di governi tendenzialmente destinati a durare per l'intera legislatura, oppure potrà contribuire ad indebolire tale stato di cose, anche se non sarà facile sradicarlo subito del tutto, reintroducendo elementi di infausta memoria quali elezioni a metodo proporzionale e con le "mani libere", ed alleanze di governo e capi degli esecutivi decisi nei "palazzi", soltanto dopo il voto.
Auguri, quindi, per il nuovo anno a chi dovrà decidere, a questo punto, della sorte del Paese: del rafforzamento di conquiste degne di una vera democrazia moderna ed ormai bene o male molto radicate, ovvero della loro gettata alle ortiche.
E auguri soprattuto agli italiani, che non meriterebbero politicanti cui passasse anche soltanto per l'anticamera del cervello di privarli del diritto acquisito di potersi scegliere direttamente, votando, alleanza e programma di governo nonchè persona del primo ministro. Queste, sia ben chiaro, sono condizioni assolutamente irrinunciabili qualunque sistema elettorale venga alla fine adottato: maggioritario, proporzionale o con il televoto in diretta durante una trasmissione di Raffaella Carrà; tedesco, spagnolo, turco o kenyota.
Qualcuno ha affermato che il bipolarismo in Italia non funzionerebbe, che sarebbe superato, che farebbe addirittura "schifo": Quel bipolarismo, miei cari signori, pure "all'italiana" e con tutti i difetti possibili e immaginabili, sta alla base del buon funzionamento di Regioni, Province e Comuni che è sotto gli occhi di tutti; sta assicurando governi (buoni o cattivi, non daremo giudizi in questa sede) insediati per un'intera legislatura o almeno di una durata sufficiente per potere concludere qualche cosa, e non al potere ciascuno per qualche mese, come avveniva in una Prima Repubblica sotto questo aspetto da dimenticare; ha fatto dire all'ex, o post, fascista Fini che il nazismo dell'Olocausto fu il "male assoluto", e all'ex, o post, comunista Veltroni che nazismo e comunismo furono più o meno la stessa cosa; ha, insomma, piano piano tolto dai ghetti dell'antisistema forze che, trovando le condizioni idonee ed incentivanti, hanno potuto integrarsi ed essere recuperate alla politica "vera" di un paese democratico, da giocarsi tra avversari alternativi l'uno all'altro, ma reciprocamente rispettosi e condividenti una base di valori assolutamente fondamentali.
Proseguimento ideale del processo di riforma sulla via di una democrazia davvero moderna e funzionale può essere senz'altro quello nella cui direzione sembra andare la formazione del Partito Democratico, da una parte, e del Partito della Libertà dall'altra: la semplificazione della vita politica mediante l'accorpamento in due grandi entità, una di cetrodestra e l'altra di centrosinistra, di partitini-cespuglio sostanzialmente omogenei tra loro e la cui stessa sopravvivenza come soggetti distinti non risponde perciò più ad alcuna esigenza logica o di utilità (alzi la mano, ad esempio, chi sa dire quale grande differenza "ideologica" passi tra un'Udeur di Mastella e un'Italia dei Valori di Di Pietro perchè gli stessi non possano stare in un'unico soggetto, magari priprio il PD, dov'è peraltro già confluita la loro consimile Margherita).
Allora, auguri di buon anno e di buon lavoro a chi sinceramente si adopera per un futuro politico dell'Italia sempre più all'insegna del potere dei cittadini di scegliere direttamente alleanza di governo e premier, dello sfoltimento degli ormai totalmente inutili partitini e di un panorama di conseguenza più semplice e chiaro in grado di ripristinare la fiducia degli italiani nella propria classe politica. Un augurio particolare, ovviamente, al cavalier Berlusconi, per il buon fine della sua sfida lanciata a quanti, nel suo stesso schieramento, stentano a comprendere che è proprio di questa unità nella lotta per restituire al più presto al Paese un buon governo e il prestigio di cui ha sacrosanto dirtto che si alza forte la domanda della base elettorale dell'attuale opposizione.
E auguri, comunque, anche a chi sembra invece remare nel senso opposto, convinto che, dalla saggia strada imboccata anni fa, sia ormai giunto il momento di discostarsi radicalmente; chissà che non sia proprio lui a necessitare più di tutti dei nostri sinceri auspici.
Auguri vivissimi- per cambiare completamente argomento, ma con immutata preoccupazione per destni ed immagine dei nostri connazionali - ai tanti nostri uomini e donne impegnati nella lotta a terrorismi e a varie minaccie per la pace al'interno e al di fuori dei confini nazionali, in territori dove la situazione è già alquanto calda (Afghanistan) o potrebbe diventarlo (Libano, Balcani), affinchè non venga loro mai meno il sostegno del Paese, e l'esigenza della loro sicurezza e capacità di operare non venga mai dopo irresponsabili pregiudiziali ideologiche o meschine tattiche di politica interna.
Auguri a chi, dai cambiamenti che bollono in pentola per il nuovo anno, si aspetta qualche positiva novità su stipendi, prezzi, tasse, occupazione, mutui, qualità della vita in generale: E auguri anche a chi dovrà fare in modo che queste aspettative vengano deluse il meno possibile, anteponendole ai propri interessi di parte o di poltrona.
Insomma, auguri a tutti. A chi dorà avere e a chi dovrà dare. Comunque la pensi.

Tommaso Pellegrino

domenica 11 novembre 2007

PARTITO (SPECIE SE "UNITARIO")...QUELLA PAROLA CHE SEMBRA ANCORA FARE PAURA AL CENTRODESTRA

Nel campo del centrosinistra politico italiano ha, bene o male, visto la luce il Partito Democratico, il quale ha fuso in un'unica entità due componenti, la Margherita e i Democratici di Sinistra, che in un tempo non lontanissimo, ma che pare ormai preistorico, militavano addirittura agli antipodi l'uno dell'altro, quando ancora si chiamavano rispettivamente Democrazia Cristiana (la Margherita era formata in larga parte dall'ex sinistra DC) e Partito Comunista Italiano.
L'operazione ha avuto aspetti felici e meno felici; ha fatto nascere un soggetto politico di concezione nuova, ma la cui efficienza nell'operare in concreto è ancora tutta da verificare; ha eletto un capo con un metodo democraticissimo quale le "primarie", ma così facendo ha creato confusione su chi si trovi ora a godere di più legittimante investitura popolare per guidare la baracca, se questo nuovo leader o il "vecchio" Presidente del Consiglio. Tuttavia, questa operazione è andata indiscutibilmente nella direzione giusta, o almeno in quella inevitabile, se davvero si ritiene che un sistema basato sull'alternanza al potere tra due possibili maggioranze di governo, sicure ed in grado di perseguire i rispettivi programmi, presentati con chiarezza agli elettori prima di chiamarli alle urne e da questi scelti con il voto, sia ormai una conquista irreversibile, dalla quale non si può più tornare indietro, qualunque siano le leggi elettorali o le riforme costituzionali in futuro adottate.
In questo più intraprendente e lungimirante del centrodestra, il centrosinistra ha superato due ostacoli che, da quest'altra parte della barricata, sembrano ancora costituire quasi dei tabù: intanto ha dato vita ad una significativa organizzazione politica che si fregia senza vergogna della qualifica di "partito", e poi ha capito che il naturale sbocco del bipolarismo è di portare alla formazione di entità più compatte e stabili delle semplici "coalizioni".
La parola "partito", nel mondo politico italiano e specie nel centrodestra, provoca probabilmente strane reazioni allergiche da quando il ciclone dei primi anni Novanta ha mandato in pezzi il vecchio sistema generalmente ricordato come la "Prima Repubblica": sarà perchè i soggetti rappresentativi di quel sistema si chiamavano tutti ufficialmente Partito Tal dei Tali, sarà perchè ci hanno fatto una testa così con la "partitocrazia" fonte di tutti i mali, sta di fatto che, da allora in poi, è tutto un rifiorire di leghe, clubs, alleanze, unioni varie (ora anche i "Circoli" della pasionaria azzurra Brambilla), ma di un vecchio e sano "Partito", a centrodestra e dintorni, quasi non si ha più memoria.
Invece bisognerebbe recuperare il tempo perduto, non copiare la sinistra, ma fare di meglio. Aleggia, è vero, un progetto di Partito delle Libertà unitario, ma, al momento, non sembrano crederci in molti oltre a Silvio Berlusconi.
E' importante il superamento delle semplici "coalizioni", perchè, se si crede veramente nella democrazia dell'alternanza al potere tra due famiglie politiche in grado realisticamente di governare con una solida maggioranza una volta elette, non è più il caso di rimandare troppo oltre.
Potrebbe, in un prossimo futuro, affermarsi una legge elettorale che assegni il premio di maggioranza non più alla coalizione, ma al partito più votato e, inoltre, l'essere parti integranti in un partito unitario porterebbe le inevitabili varie anime interne ad esso a sentire con maggiore senso di responsabilità il dovere di fedeltà al progetto comune, che non qualora fossero semplicemente dei gruppi distinti membri di una coalizione.
E' puramente pretestuoso affermare, invece, che il partito unitario condurrebbe alla mortifiazione delle identità specifiche delle singole componenti che gli darebbero vita: nel Partito Laburista inglese, ad esempio, convivono, senza sognarsi scissioni, tendenze che vanno da un netto moderatismo a posizioni non poi molto diverse da quelle della nostrana sinistra radicale; così nel Partito Repubblicano americano troviamo un Rudolph Giuliani e un George W. Bush pensarla in maniera diametralmente opposta su svariati temi, senza però mai mettere in discussione la comuneappartenenza al medesimo.
Opporsi all'ipotesi di un partito unitario anche nel centrodestra, almeno costituito tra quelle componenti di esso sufficientemente omogenee da poterlo ragionevolmente fare (con i peraltro ottimi alleati della Lega Nord, per intenderci, si deve riconoscere che il discorso, per lo meno nell'immediato, sarebbe forse un tantino più complesso e delicato, pur dovendosi certamente tendere ad includere pure loro magari in tempi meno brevi), vuol dire non avere abbastanza il senso dell'inevitabile nuovo corso della politica nazionale, teso alla democrazia dell'alternanza tra due schieramenti solidi e compatti, garanzia di governabilità, vuol dire essere nostalgici di un ormai impossibile "centro" che non ha coraggio e volontà per schierarsi irrevocabilmente da una parte o dall'altra, vuol dire rimpiangere (magari inconsciamente) il consociativismo e il trasformismo di tanto triste memoria nella storia patria.
Occorre, in conclusione, superare quella sorta di paura che la parola stessa "partito", e tanto più "partito unitario", sembra ancora suscitare in tanti ambienti del centrodestra, anche per non farsi battere dalla parte avversaria in prontezza nell'adattare strutture e mentalità al nuovo che avanza inesorabilmente.
Questo post è stato redatto anche e soprattutto al fine di pubblicizzare l'iniziativa di un blog roll votato appunto alla causa che abbiamo cercato di perorare in queste righe. E' stata promossa dall'amico "Camelot"; il modo più pratico per aderirvi (chi scrive lo ha fatto) è quello di recarsi sul blog www.teocon1990.blogspot.com e, da lì, cliccare sul simbolo tondo (tipo simbolo dela CdL) con la dicitura "LA CASA DELLE LIBERTA' PER IL PARTITO UNITARIO" che appare a margine della home page in fondo a destra, accedendo così a tutte le istruzioni per proseguire.
Credo, in tutta sincerità, che si tratti di un'iniziativa cui valga la pena di prestare la propria attenzione ed incanalare quella di quanta più gente possibile.

Tommaso Pellegrino

giovedì 30 agosto 2007

GERARCHI - Gli uomini che resero possibile il fenomeno fascista

IN LIBRERIA DA SETTEMBRE
L'ULTIMO LIBRO DI TOMMASO PELLEGRINO

Balbo il trasvolatore, Ciano il "generissimo", Bottai l'intellettuale a suo modo libertario, Starace il "mastino della rivoluzione".
Sono solo alcuni dei principali gerarchi del fascismo: una classe dirigente che Mussolini, il duce, sfruttò per i propri fini, disprezzò ed esautorò, e che gli italiani chiamavano "loro", conoscendoli poco e stimandoli ancora meno in confronto al favoloso "Lui" nazionale. Ma anche una squadra di uomini indispensabili per rendere possibile il più interessante e complesso fenomeno della nostra storia unitaria, così come per determinarne la fine tramite un atto che, per tutti i gerarchi, si rivelò un suicidio politico e, per taluni di essi, anche fisico.
Un pugno di percorsi individuali che l'autore sviscera nei loro tratti essenziali, sforzandosi di dare così un quadro d'insieme il più possibile esauriente del regime che segnò la vita di un'intera generazione di italiani.

ROBERTO CHIARAMONTE EDITORE Prezzo € 20,00

(Copertina del volume visibile sul sito dell'Editore www.chiaramonteeditore.it)

lunedì 30 luglio 2007

CHE COS'E' A RENDERCI PARTICOLARMENTE VULNERABILI NEI CONFRONTI DEL TERRORISMO ISLAMICO

Fatti recenti come la scoperta di una "moschea" potenziale covo e scuola di terroristi anche "baby", nei pressi di Perugia, e le ultime sparate fatte dal brillante ministro degli Esteri D'Alema sulla necessità di dialogo con quella brava gente dei terroristi di Hamas, oltre che sull'auspicabilità di una cessazione o ridimensionamento delle "barbare" attività americane di "Enduring Freedom" in Afghanistan, inducono senza dubbio a qualche riflessione sul perchè il nostro Paese - insieme a tutto l'Occidente, beninteso, ma nonostante esso cerchi di distinguersi proprio per particolari doti di moderazione e "umanità" - sia così nel mirino di chi non vede l'ora di vedere il mondo trasformato in un bel Califfato, con tanti saluti ai secoli di storia, e di evoluzione politica, sociale, filosofica e scientifica, passati dal Medioevo ad oggi, e su quali siano gli atteggiamenti più saggi da adottare di fronte a simile stato di cose.
La realtà è che noi occidentali, così come ci siamo apparentemente ridotti oggi, agli occhi di gente che non ha invece vissuto un processo evolutivo analogo al nostro ed è perciò rimasta alla mentalità semplice del vedere tutto bianco o tutto nero, incapace di concepire modi diversi di reagire ad un'offesa dall'apportarne un'altra analoga, o di ammettere che un popolo possa non insorgere compatto contro l'attacco sferrato da un nemico esterno, dobbiamo apparire come una civiltà giunta ormai alla frutta, senza più alcuna credibilità, nè temibilità, oseremmo dire neppure più degna di rispetto.
L'opulenza sfrenata in cui viviamo, la mancanza di serie guerre ormai da oltre un sessantennio, con conseguente disabitudine ad ingaggiare le lotte per le cause collettive veramente vitali con tutti i mezzi adatti allo scopo ed accettandone gli inevitabili sacrifici e perdite umane; nonchè l'indulgenza mostrata dalla nostra socetà verso la diffusione di un pacifismo che sembra, al contrario, predicare la resa davanti al sopruso e alla violenza come preferibile a qualsiasi virile e sacrosanta reazione a difesa della dignità e della libertà di tutti, debbono fare apparire noi occidentali, agli occhi di questi baldi fedeli di Allah, come una manica di debosciati ormai pronti soltanto per essere calpestati senza pietà e senza difficoltà da nuove e più vitali forze, proprio come lo fu a suo tempo l'impero romano della decadenza, da parte degli emergenti "barbari" pressanti alle sue frontiere.
E che cosa possono mai pensare, degli invasati religiosi quali sono appunto i bei tomi che ci vorrebbero tutti morti, di una civiltà che si mostra ben più preoccupata di non "offendere" o urtare qualunque sensibilità religiosa altrui (e specie proprio quella dei suoi potenziali aggressori) che non di rispettare (non si pretende di più) la propria gloriosa tradizione cristiana, la quale ha avuto anch'essa, in passato, manifestazioni di integralismo, ma che tutti, credenti o no, debbono oggi riconoscere come la maggiore cultura plasmatrice dell'Occidente? Che cosa possono concludere, loro che ti condannano allegramente a morte chiunque appena appena si discosti di un millimetro dall'ortodossia religiosa, di fronte alla nostra quasi generale indifferenza verso blasfemìe anticristiane di ogni genere, minacce e denigrazioni contro Papa ed arcivescovi, sparate di certi storditi matematici che definiscono il Cristianesimo una religione per cretini? Ed infine, dinnanzi alla pretesa di talune flange cattoliche di spacciare addirittura i vaneggiamenti pacifisti per l'essenza stessa dell'insegnamento ecclesiastico (il quale, invece, non ha ovviamente mai negato il diritto alla legittima difesa, con i mezzi ritenuti più idonei, da parte dei singoli individui come delle collettività), che possono dedurre, loro che tanto disinvoltamente parlano di "guerra santa"?
La risposta non può che essere sempre la stessa: per l'Islam radicale l'Occidente è marcio, senza più la forza nè la volontà neppure per difendersi, totalmente corrotto dall'abbandono alle false libertà e alla degenerazione dei costumi derivanti da Satana, ergo meritevole di essere soggiogato.
Basta, allora, con il porre l'accento, nella contrapposizione tra tutela della legalità e della sicurezza, da un lato, e solidarietà verso immigrati ed altre culture, dall'altro, solo e sempre su quest'ultima. Basta con i sensi di colpa per il fatto di appartenere alla fetta di Umanità che più di ogni altra, malgrado le imperfezioni pur sempre esistenti nel sistema, si è bene o male saputa dare pace, prosperità, progresso e democrazia. Che questi risultati conseguiti diventino il nostro punto di forza, anzichè di debolezza; che, nell'orgoglio di difenderli, si sappiano dare ai nemici di queste conquiste, le risposte giuste, appunto nel rispetto di tali valori, ma ferme.
La speranza di rabbonire questi avversari semplicemente con sempre maggiori concessioni sul piano interno (ad esempio piùà moschee agli immigrati, o tutte le facilitazioni possibili anche a scapito dei locali) o internazionale (aperture di D'alema ad Hamas o critica dell'operato americano in Afghanistan) è invece puramente illusoria: più noi ci mostreremo ben disposti nei loro confronti, anzi, più essi ci prenderanno per deboli e ne approffitteranno per tirare a schiacciarci.
Il concorrente repubblicano alla corsa per la Casa Bianca Fred Thompson ha recentemente affermato che "questa gente ce l'ha con noi per quello che possiamo aver fatto di buono, non certo per quello che possiamo avere sbagliato". E ha ragione.
Chissà che non stia proprio nel cominciare a dare un'immagine di noi stessi quali avversari risoluti, giusti e decisi, in una parola avversari degni di rispetto, agli occhi di questi terroristi, il segreto per essere anche un poco meno vulnerabili alle loro offensive.

Tommaso Pellegrino

sabato 9 giugno 2007

TRA ERACLITO E MACARTHUR...

Con il suo comportamento nel "caso" Visco-Speciale, e nel dibattito al Senato che ne è seguito il 6 giugno, si ha l'impressione che il baldo governo Prodi, il maggiore responsabile della più grave crisi di sfiducia nella politica mai attraversata dagli italiani negli ultimi anni, abbia toccato veramente il fondo.
Non solo ci si è accaniti silurando un comandante di corpo armato dello Stato "reo" soltato di difendere le proprie prerogative in fatto di impiego del proprio personale da indebite interferenze esercitate da un viceministro oltretutto non nuovo a simili uscite (lo stesso Visco, già ministro delle Finanze nel 1997, ebbe infatti un'analoga disputa con il predecessore di Speciale, Mosca Moschini, e in tale occasione emerse appunto chiara l'esclusività della competenza del comandane della G. di F. a decidere impiego e trasferimenti degli appartenenti al corpo, con il semplice obbligo di informarne per notizia l'organo politico), ma lo si è voluto anche infamare, in Senato, dandogli papale papale dello "scorretto", dell'"inqualificabile", dello "sleale", il tutto senza neppure riflettere sulla sconcertante contraddizione insita nel fatto di avere, poco prima, offerto un posto di rilievo in un'istituzione prestigiosa come la Corte dei Conti proprio ad una persona che si riteneva tanto biasimevole.
Arroganza senza limiti, dunque, nell'apostrofare pubblicamente un fedele servitore dello Stato, oltre a danneggiarlo praticamente, e sicurezza di sè tanto sfacciata da credere di potere tranquillamente fare a meno di dissimulare anche solo un poco la propria malafede e maldestria, salvando un po', almeno, le apparenze. Per non parlare della ridicolaggine sfoggiata dal tristemente esilarante Padoa-Schioppa nelle sue citazioni e paragoni storici. Se certo è esagerato (ma neanche poi tanto) paragonare Speciale al povero deportato capitano Dreyfuss - come a molti, compreso a chi scrive, è sulle prime venuto del tutto spontaneo - assimilarlo addirittura a MacArthur, il generalissimo americano silurato da Truman durante la guerra di Corea perchè altrimenti avrebbe forse sganciato qualche confetto atomico sulle teste dei cinesi, innescando così il terzo conflitto mondiale, sa addirittura di grottesco: ovvio che, in qualsiasi vera democrazia, i militari stanno sottoposti ai governanti civili e questi hanno pienamente il diritto-dovere di rimuoverli prima che combinino disastri, anche a costo di sfidare la popolarità di semidei alla MacArthur, ma il comandante della G. di F. non stava andando oltre le sue prerogative di legge o preparando chissà quale catastrofe, e rimuoverlo è stato quindi un atto contrario, o per lo meno estraneo, a quel "combattere a difesa della legge" necessario per il popolo quanto la "difesa delle mura", secondo il pensiero di Eraclito, anche lui, poveretto, dottamente citato dall'onnisciente ministro dell'Economia.
Il Paese reale, dicevamo all'inizio, è ormai agli sgoccioli della sopportazione di una simile mediocrità della sua classe politica, ed una delle cause del suo scoramento è proprio l'eccessiva radicalizzazione del confronto tra i due schieramenti politici.
Ci si dovrebbe dare tutti un poco una calmata, insomma, riconosciamolo, a destra come a sinistra, ma, se sceneggiate come questa ultima sono tutto ciò che sa fare chi ci governa per dimostrare agli italiani il suo interesse a recuperare un clima più sereno e a venire incontro ai loro reali bisogni, come si può pretendere che anche l'opposizione venga a più miti consigli?
L'esecutivo ha, per ora, superato l'ennesimo scoglio in Senato e rimarrà anche questa volta in sella, avendone, nonostante tutto, il diritto.
Di questo passo, però, che ne sarà della credibilità, della dignità anche internazionale di un'Italia che si dice tra le prime democrazie del mondo? Ecco qualche cosa per la quale combattere è davvero necessario come la "difesa delle mura".

Tommaso Pellegrino

giovedì 17 maggio 2007

I RINFORZI NON POSSONO PIU' ASPETTARE!

E' innegabilmente ora che il governo italiano (insieme anche ad altri governi, beninteso) prenda atto che, sul fronte afghano, si è giunti ad un momento cruciale e che non è più possibile nascondersi dietro il dito della finzione che tutto sia rimasto come quando, ormai pare un secolo fa, pareva che il più fosse effettivamente fatto, sulla strada della eliminazione totale della minaccia talebana con lenta, ma tutto sommato serena, costruzione di un nuovo Afghanistan autenticamente democatico, e che la presenza militare occidentale fosse ormai necessaria quasi esclusivamente per un'opera di vero e proprio peacekeeping, in un classico contesto di indubbia prevalenza degli aspetti più propriamente "umanitari" e di assistenza della missione e di scarsa probabilità di brutte sorprese o colpi di coda da parte di avversari apparentemente già privati di gran parte delle proprie potenzialità offensive.
In realtà, dobbiamo ricordare che tutto il coinvolgimento dell'Occidente (in pratica della NATO) in quell'area è cominciato non con la messa in piedi di una tipica spedizione multinazionale "di pace", come quelle che di solito si mandano ad interporsi neutralmente tra due contendenti già stipulatori di una tregua, bensì con un'azione che costituiva il primo caso, nella storia pluridecennale dell'Alleanza Atlantica, di reazione armata congiunta da parte di tutti gli stati membri, sulla base dell'articolo 5 del Trattato, in seguito all'attacco subito da uno di essi. E si trattava della dstruzione, con migliaia di vittime civili, delle torri gemelle newyorkesi ad opera di un'organizzazione di terroristi apertamente ospitata e protetta dallo stato talebano dell'Afghanistan.
Alla partecipazione all'operazione alleata, non "di pace" in senso tradizionale, ma di adeguata risposta ad una vera e propria dchiarazione di guerra lanciata all'Occidente dall'Islam più fanatico ed integralista, denominata "Enduring Freedom", non si sottrasse ovviamente, con sostanziale concordia di quasi tutte le forze politiche, neppure l'Italia, che inviò una piccola flotta nelle acque interessate e, in seguito, anche un contingente di terra "combattente", oltre a quello di peacekeeping inquadrato nell'ISAF.
Ora, il fatto che, per lungo tempo dopo l'abbattimento del vecchio regime di Kabul, la situazione di calma apparente creatasi a causa della fresca sconfitta militare subita dall'avversario, non ancora riorganizzatosi, ci abbia fatto illudere di stare ormai partecipando a tutt'altro genere di missione non ci autorizza a negare ostinatamente l'evidenza e a dimenticare, oggi che la minaccia è tornata intensissima, quello spirito originario del nostro intervento, a fianco dei nostri alleati, in quelle lontane terre bisognose di vera pace e di libertà.
Non possiamo rimanere fuori dagli eventi neanche volendolo, poichè, per dirla con un uomo dello stesso governo, anche se non ci cercheremo i guai saranno essi a trovare noi, e lo stillicidio di feriti (anche se fortunatamente, per il momento, leggeri) di questi ultimi giorni sembra dargli purtroppo ragione.
Possiamo e dobbiamo fare la nostra parte, ma almeno i mezzi di rinforzo, i "Mangusta", i "Predator" e tutto il resto, vanno inviati senza più perdere un minuto di tempo.
E' il normale comportamento, in simili frangenti, di governanti che tengono innanzitutto alla vita dei propri uomini, anche se la salvaguardia dell'immagine internazionale del proprio Paese, ultimamente tanto compromessa, non deve certo essere messa in secondo piano.

Tommaso Pellegrino

lunedì 2 aprile 2007

LIBERALI OGGI: NEOCON ALL'ITALIANA O COS'ALTRO?

Chi ha sempre creduto negli intramontabili valori del liberalismo sa bene quante difficoltà si sono spesso incontrate nel portare avanti un discorso realmente ispirato a tale ideale proprio nel nostro mondo occidentale, che pure di esso è stato la culla, e che soprattutto grazie ad esso è potuto diventare ciò che è oggi.
Per quanto il liberalismo esprima le forme più realisticamente praticabili di individualismo, di laicismo, di libertà e insieme di ordine nelle istituzioni, con il tempo, forze ispirate a ben altre ideologie hanno purtroppo finito per prevalere nel favore delle masse, tanto più affascinate da esse quanto maggiormente sembravano arditi i rivoluzionamenti proposti. L'idea liberale tradizionale, malgrado i pregi sopra menzionati e nonostante che, da essa, solo sistemi autenticamente democratici abbiano avuto origine, è così stata surclassata, in quanto a popolarità, da altre che hanno invece spesso, nella storia, partorito mostri, fatto degenerare l'individualismo in anarchia, il laicismo in repressione della religiosità. Il liberale è divenuto, per molti di questi campioni di tolleranza, sinonimo di elitario, di retrogrado moderato, di borghese nel senso spregiativo del termine, di capitalista.
Nel dopoguerra italiano e finchè è durata la cosiddetta "prima repubblica" (beninteso, non che oggi si viva nella seconda), il nostro buon vecchio PLI ha sempre racimolato consensi elettorali oscillanti tra l'1 virgola qualcosa e il 3 virgola qualcosa (con una sola punta del 7) percento, pur potendo contribuire fattivamente alla vita pubblica del Paese in quella democrazia senza alternanza, dove tutti potevano, a turno, stringersi attorno alla DC, perno fisso del potere, per formare maggioranze che tenessero fuori pressochè soltanto le ali estreme destra e sinistra.
Poi, con lo scardinamento di tutto il sistema dei vecchi partiti, l'adozione del sistema elettorale maggioritario e l'avvento di un bipolarismo benedetto sebbene ancora da perfezionare, un brillante imprenditore di nome Silvio Berlusconi fonda un movimento che diventa all'istante il primo partito nell'ambito dello schieramento di centro-destra e tra i primissimi anche a livello nazionale, conseguendo risultati nell'ordine del 20-30 % dei suffragi.
Si tratta di Forza Italia; punta a riempire un vuoto creatosi con il dissolvimento del vecchio sistema, a costituire un punto di riferimento laddove (specie per chi non si riconosce nella sinistra) di punti di riferimento sembrano essercene pochini, ed i suoi princìpi e programmi sono squisitamente liberali: dunque, l'ideale politico che, nella vecchia democrazia dei partitini senz'altra possibilità di scelta che raccogliersi eternamente attorno alla DC per fare fronte comune contro un ancora temible partito comunista, si attestava non oltre l'1-2 % dei voti ad ogni consultazione elettorale, in quella nuova, più libera, concepita per una vera alternanza al potere tra coalizioni, è diventato addirittura un credo quasi di massa.
E' un grandissimo passo avanti, ma, se poco poco ci guardiamo attorno, non possiamo non renderci conto di quante situazioni minaccino e vilipendano i valori e le cose per noi vitali in cui crediamo e di quanto impegno nel difenderle sia di conseguenza richiesto.
Il conformismo più becero ha da tanti anni inculcato nei cervelli che stiano da una sola parte, a sinistra, la ragione, il bene, la cultura: fior di personaggi pubblici, mi riferisco soprattutto ai non appartenenti al mondo della politica, sembrano ormai non concepire altra strada che fare a gara per schierarsi dalla parte dell'apparente progressismo ad ogni costo, del ripudio di tutto ciò che è tradizionale, se solo contrasta con la "moda" del momento, anche a costo di cozzare contro il più elementare buon senso, perchè, se così non si fa, non si è abbastanza "intellettuali", si è considerati reazionari, dei retrogradi ecc.
A questo stato di cose non si può soggiacere passivamente.Come non si può soggiacere passivamente al buonismo penoso che la suddetta moda di apparire sempre e comunque superpacifici e disponibili, anche a nostro stesso danno, impone oggi ai meno in grado di ragionare con la propria zucca; come non si può passare sopra all'immondo spettacolo di certo pacifismo a senso unico che demonizza per partito preso "senza se e senza ma" qualunque uso della forza da parte di chi agisce nell'ambito della legalità internazionale, e poi trova mille giustificazioni anche per le violenze più bestiali purchè commesse da chi sta dall'altra parte, non disdegnando talvolta neppure esso stesso l'impiego della più sconcertante violenza fisica contro persone e cose, nel corso delle proprie devastanti chiassate di piazza; come non si può far finta di nulla di fronte a un noglobalismo e terzomondismo vomitevole ed autolesionista, che sembra autorizzare implicitamente gli ex oppressi dal colonialismo occidentale a qualsasi rivalsa contro il nostro mondo, oggi colpevole soltanto di essere più libero ed avanzato, nel quale verrebbe da dire che chi ha di questi vaneggiamenti non meriti neppure il privilegio di esserci nato.
Vale senz'altro la pena di impegnarsi nel tenere alta la fiaccola di determinati valori che, altrimenti, si rischierebbe di perdere di vista, a causa dell'obiettivamente grande capacità di conquistare il favore della gente, con le buone o con le cattive, propria di questi loro negatori.
Non si deve neppure avere paura di autodefinirsi "conservatori", in tale contesto: presso gli inglesi, si chiama così da sempre, senza problemi, il democraticissimo partito di centro-destra nel loro sistema sostanzialmente bipartitico; in America si dicono orgogliosamente "neocon" i repubblicani della corrente del presidente Bush.
Qui non si tratta certo di essere conservatori nel senso tradizionalmente inteso (specie in Italia) di retrivi reazionari, ma, al contrario, nel senso di difensori del patrimonio eterno delle rivoluzioni liberali sferrate contro tutti gli assolutismi, per le indipendenze nazionali e le libertà e garanzie costituzionali, delle istanze portate avanti dai rivoluzionari americani e francesi del XVIII secolo (fase del "terrore" esclusa), dai patrioti del Risorgimento italiano e, infine, anche dalle componenti più genuinamente democratiche della Resistenza durante l'ultima guerra mondiale.
Questi valori - i quali hanno condotto all'affermazione della democrazia occidentale, che, si è detto, è un sistema pieno di difetti, ma a tutt'oggi il migliore tra tutti quelli inventati - vanno salvaguardati ad ogni costo dalle insidie odierne di coloro che, pur con tutti i restauri di facciata del caso, provengono da tradizioni che storicamente li hanno sempre negati e che, con l'attuale bel governo italiano, troppo spazio stanno avendo per rendere meno credibile la politica del nostro Paese e meno efficace la nostra opera internazionale a favore della libertà e contro il terrorismo.
Sul come poi cndurre questa lotta nei dettagli, il dibattito è aperto.


Tommaso Pellegrino

sabato 24 marzo 2007

Le mie pubblicazioni

Finora ho pubblicato due libri di carattere storico contemporaneo, e precisamente:
- "L'Africa del duce", 1997, ed. Anaphora, Torino
- "Graziani, l generale del fascismo", 2004, ed . Edizioni 2002, Torino.
Un terzo è di prossima pubblicazione ed ha per titolo "Gerarchi, gli uomini che resero possibile il fenomeno fascista" ed uscirà per i tipi dell'editore Chiaramonte di Collegno (TO).

Chi sono.

Salve. il mio nome è Tommaso Pellegrino. Sono studioso di Storia contemporanea e ho già al mio attvo alcune pubblicazioni. Quello che intenderei fare con questo blog è di promuovere occasioni di discussioni su temi appunto storici ed anche e soprattutto attuali , da cui il titolo del blog "Storia e storie", dal momento che le "storie" di oggi domani saranno considerate Storia.
Lo spirito che si intende rivitalizzare è soprattutto quello di difesa dei valori liberali della società occidentale oggi tanto minacciati da molteplici nemici interni ed esterni. Chiunque vorrà dire la sua sarà il benvenuto.