sabato 4 luglio 2015

LAUDATO SI', MI' SIGNORE, PER FRATE VERME

   Papa Francesco ha recentemente reso pubblica la "Laudato si", la prima enciclica del suo Pontificato recante unicamente la sua firma (quella precedente era infatti stata una sorta di lavoro "a quattro mani" con l'emerito Benedetto XVI) ed il tema scelto è stato, principalmente anche se non solo, quello dell'ecologia e della salvaguardia dell'ambiente, ovvero il terreno sul quale, come forse su nessun altro, si sono mescolate e sovrapposte tesi scientifiche più o meno attendibili e strumentalizzazioni politiche, al punto tale da dare luogo, non di rado, a quadri complessivi di sconcertante confusione. Qui di seguito ci sforzeremo di analizzare almeno i punti più salienti del documento, quelli andati maggiormente soggetti ad elogi o critiche, senza mai timore nè intenzione di venire meno al rispetto dovuto da ognuno, e dai cattolici in particolare, verso Colui che rimane sempre, fino a prova contraria (peraltro difficilissima da produrre) e con buona pace di taluni ambienti, Sommo Pontefice e Vicario di Cristo legittimo sia "materialmente" che "formalmente"; questo anche nel muovere gli appunti che si riterrà opportuno muovere a taluni passi di questo suo lavoro.
   Si è comprensibilmente tanto criticata, in primo luogo, la preoccupazione che sembra attanagliare il Papa, ad esempio, per la sorte di "alghe, vermi, piccoli insetti e rettili", quando l'attualità che viviamo è travagliata da tragedie, materiali e spirituali, ben più rilevanti: dalle persecuzioni ed uccisioni di tanti cristiani ad opera di barbari fanatici alla crisi della Fede e alla diffusione del peccato anche nel nostro mondo opulento, con il serio rischio della rovina di tante anime.
   Si è sottolineato che tanto ardore ecologista, tanto scendere nei particolari nel raccomandare persino minuti comportamenti pratici da provetti ambientalisti ("evitare l'uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, [...], utilizzare il trasporto pubblico, [...], spegnere le luci inutili"), rischi di far sembrare l'enciclica più un manuale di buon comportamento civico che non un documento pontificio, e la Chiesa che l'ha emanata una Chiesa che ha dimenticato, o almeno ha relegato in secondo piano, la sua missione primaria, che è quella della salvezza delle anime (e "il bene soprannaturale di uno solo è superiore al bene naturale di tutto l'universo" afferma San Tommaso d'Aquino), a tutto vantaggio della promozione di stampo umanista di una "salvezza" ormai puramente terrena.
   Particolarmente duro nelle sue obiezioni è stato il noto scrittore cattolico Antinio Socci, il quale, respingendo ogni paragonabilità delle bergogliane lodi a "frate verme" al francescano (di San Francesco d'Assisi) "Cantico delle Creature", evidenzia le intenzioni del Poverello di lodare, con tale sua opera, Dio e proclamare la bontà del Creato, in tempi in cui i Catari, riprendendo le antiche tesi gnostiche, consideravano appunto il Creato come un male. Non, dunque, una "performance" da ecologista, quella di Francesco d'Assisi - in un'epoca in cui, peraltro, non era neppure concepibile esserlo, essendo allora l'uomo a subire la natura e non viceversa - ma un brano poetico al centro del quale vi è la salvezza dell'anima e che si conclude mettendo in guardia dal morire in peccato mortale, meritando così l'Inferno.
   Invece, sostiene Socci, "nel bergoglismo non si trovano nè il 'peccato originale', nè i peccati mortali, nè il Purgatorio, nè l'Inferno. Eppure la dottrina cattolica afferma che 'la salvezza delle anime è la suprema legge della Chiesa'. La sola cosa che conta". Quindi, lo scrittore passa a spiegare come già la Genesi conferisca all'uomo la regalità sull'Universo, mentre le moderne dottrine ecologiste, che il Papa sembrerebbe sposare nella "Laudato si", ma che sono sinora sempre state avversate dalla Chiesa, rovesciano questa gerarchia di valori mettendo l'uomo sullo stesso piano degli altri esseri viventi, quando va bene, o considerandolo addirittura, nei casi più estremi, un "cancro" per il pianeta. "Lo scopo finale delle altre creature non siamo noi" scrive Francesco al punto n. 83 del documento; la "Gaudium et spes" afferma invece che "tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all'uomo come suo centro e a suo vertice".
   Ora, non crediamo certo che una non maniacale dedizione alla cura e al rispetto del pianeta affidatoci sia da sottovalutare o peggio condannare, anzi...Nessuno nega, ad esempio, che ciascuno di noi sia "sovrano" sulla propria automobile e non un semplice pezzo di essa, ma chi le farebbe mai mancare la diligente manutenzione, i tagliandi, l'attenzione allo stato delle gomme o i cambi d'olio al momento giusto? E' per questi motivi che non ci sentiamo, dopotutto, di condividere appieno i commenti troppo severi sui richiami in proposito del Pontefice. Il punto cruciale è però la necessità di distinguere tra un "ecologismo" non politicizzato nè ideologizzato, mirante alla semplice tutela dell'habitat naturale sulla base di criteri esclusivamente scientifici ed oggettivi, del quale siamo tutti fautori, da "scuole di pensiero" politicamente marchiate, dal sapore neopagano e decise a rimanere alla ribalta dell'attenzione pubblica e a conseguire i propri fini anche dando per scontate quelle che sono soltanto ipotesi dalla validità scientifica non ancora accertata, come quella della causa umana del riscaldamento globale; ed è difficile negare che, manifestando appunto, in taluni passi, eccessiva vicinanza a queste ultime, dando troppa importanza ai comportamenti materiali, anche perdendosi in banali minuzie, come abbiamo visto all'inizio, e dandone invece troppo poca alla dimensione teologica del problema (la prima "rovina dell'ambiente" fu quella dell'Eden dovuta al peccato originale; cambiamenti climatici ed altri fenomeni del genere andrebbero anche inquadrati nella signoria di Dio e nella sua eventuale volontà di castigare), l'enciclica sembri dare l'impressione di una Chiesa sempre più in via di mondanizzazione e di neopaganizzazione, nonchè abdicante alla propria missione spirituale primaria.
   Per contro, non possiamo neppure ignorare le lodevoli prese di distanze del Pontefice da alcuni capisaldi di correnti di pensiero strettamente collegate a queste forme di ecologismo ideologico ed areligioso, palesemente in contrasto con l'insegnamento tradizionale della Chiesa, come, ad esempio, la tesi sulla necessità di drastiche politiche di controllo delle nascite in quanto un'eccessiva popolazione sarebbe tra le cause principali della questione ambientale (e qui si ritorna al concetto dell'uomo "cancro" anzichè re del pianeta), in particolare sottolineando l'incompatibilità di una sana lotta a vantaggio dell'ambiente con la giustificazione dell'aborto, o quella a sostegno degli esperimenti indiscriminati con embrioni umani vivi.
   Ammirevole è poi la denuncia di Francesco dell'odierna presunzione di onnipotenza della tecnica, la cosiddetta tecnocrazia, predominante anche sulla politica e sull'economia, le quali è invece necessario che "si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana".
   Qualche perplessità in più, infine, possono sollevare le conclusioni dell'enciclica sui temi finanziari ed economici, che tocca accanto a quelli più strettamente ecologici.
   Sostanzialmente bene fa il Papa a denunciare la perniciosità dell'affermarsi di un eccessivo individualismo e consumismo nella società moderna, di una sopravvalutazione del mercato da "mezzo" a "fine", capace di risolvere tutti i problemi di fame, miseria e sociali semplicemente con la propria "crescita", dei pasticci creati da una finanza non sufficientemente regolamentata ecc.
   A nostro parere, possono però essere fonte di qualche dubbio sulla loro coerenza con il Magistero da sempre portato avanti dalla Chiesa in materia le affermazioni del Pontefice riguardo al diritto di proprietà privata. D'accordo che questo è sempre stato considerato dalla Tradizione cattolica come strettamente legato ad una sua certa funzione sociale, ma se ne è pure sempre affermata con forza l'inviolabilità contro qualsiasi pretesa di spoliazione arbitraria, fosse anche per scopi di presunta giustizia sociale, mentre i toni e le parole usati da Francesco, forse eccessivamente enfatici su una proprietà definita "non intoccabile", sembrerebbero invece, anzichè suonare quale un giusto invito per gli abbienti al retto impiego non egoistico delle loro sostanze, secondo quanto in ogni tempo predicato dalla Chiesa, quasi ventilare che possano essere in qualche caso ammissibili azioni di esproprio forzato come avvenuto in certe epoche e zone del mondo che non è qui il caso di ricordare nel dettaglio, i cui risultati storici disastrosi tutti conosciamo, con tanti saluti all'insegnamento controrivoluzionario e paladino della difesa dell'ordine naturale delle cose e della pace sociale portato avanti in duemila anni di Cristianesimo.
   Un'enciclica, la "Laudato si", dunque carica di luci ed ombre, perfettamente nello stile di un Santo Padre che, sin dalla sua ascesa al Soglio, ha alternato momenti di grande coerenza dottrinale ed equità ad altri capaci di sollevare enormi punti interrogativi.
Tommaso Pellegrino

venerdì 29 maggio 2015

CONTRE NOUS DE LA TYRANNIE L'ETANDARD SANGLANT EST LEVE'

   Continua, tra alti e bassi (ahimè, per ora verrebbe quasi da dire più alti per gli uomini del Califfato e bassi per la coalizione che li combatte che non viceversa), la terribile lotta in Medio Oriente tra l'esercito di tagliagole del sedicente Stato Islamico (ISIS) e quanti, tra combattenti locali rischianti effettivamente la pelle sul terreno e loro alleati internazionali restii ad impegnarsi oltre l'asettica pratica dei bombardamenti aerei selettivi di dubbia efficacia militare (malgrado il raggiungimento di qualche buon risultato, come l'uccisione o il ferimento di importanti leaders nemici), gli contendono il controllo delle zone inevitabilmente destinate alle pene dell'inferno, qualora cadute nelle mani degli invasati del Califfo.
   Ora, sembra che le priorità nell'immediato siano la riconquista di Ramadi, in Iraq, e quella di Palmyra, in Siria, quest'ultima al centro anche di forti preoccupazioni internazionali per la sorte che potrebbero subire le preziose rovine della città antica, data la nota sensibilità jihadista verso simili meraviglie archeologiche patrimonio dell'Umanità.
   Una nostra personalità politica di primo piano ha osservato, in questi giorni, che per battere l'ISIS non può bastare la sola forza militare, ma è necessario innanzi tutto che l'Iraq si comporti come un Paese unito e democratico contro quella minaccia, il che, però, è più o meno come dire che è necessario che Babbo Natale esista: non si può infatti obiettivamente ignorare quale unità tra tutte le etnie e religioni presenti e quale democrazia regnino nello Stato irakeno costruito sotto l'egida delle potenze che avevano abbattuto il dispotico regime di Saddam Hussein, e quanto si presenti di fatto impossibile, al momento, apportare significative correzioni a tale situazione.
   L'ISIS ha del resto messo a segno i suoi colpi e i suoi successi appunto laddove maggiormente lo Stato ufficiale si presentava debole, o fortemente in crisi, o addirittura quasi inesistente: nell'Iraq uscito dalla guerra e dall'occupazione americane, con strutture istituzionali ancora fragili, forti rivalità etnico-religiose, forze armate non ancora al top e chissà in quale misura motivate; nella Siria già da tempo tormentata da una tremenda guerra civile contro una dittatura pluridecennale; infine nella Libia del dopo "primavera araba", caduta praticamente nel caos in seguito alla dissoluzione del regime del colonnello-beduino Gheddafi.
   La stessa riconquista di Ramadi da parte dlle forze irakene, ad esempio, potrebbe essere resa più difficile dal fatto che i suoi abitanti sono musulmani di fede sunnita, e potrebbero, anche non condividendo l'estremismo dell'ISIS, opporsi ai militari regolari di Baghdad inviati a liberarli per il solo essere questi in massima parte sciiti, e quindi percepiti come una "minaccia", per la loro esistenza, addirittura ancora maggiore di quella rappresentata dai correligionari tagliagole.
   Questo per quanto riguarda le forze direttamente impegnate sul terreno, ma chiarezza nei rapporti reciproci, compattezza ed unità d'intenti non sono maggiori neppure tra gli attori internazionali più significativamente coinvolti negli sforzi per ovviare all'emergenza: come fa notare anche il professore della Costal Carolina University Joseph Fitsnakis, specialista in intelligence ed antiterrorismo, gli Stati Uniti, che tra l'altro non intendono inviare di nuovo soldati di terra in Medio Oriente, dopo aver fatto tanto per sganciarsi dall'Iraq, non sono molto in sintonia con il principale nemico dell'ISIS, che è l'Iran, il quale è guardato con diffidenza anche dall'Arabia Saudita per l'eccessivo peso che esso verrebbe ad avere nella regione in caso di vittoria sul Califfato, ed anche la Turchia vorrebbe vedere l'ISIS sconfitto, ma al tempo stesso ce l'ha pure con i curdi, che fronteggiano i jihadisti appoggiati dall'Iran.
   Insomma, un bel pasticcio dal quale non si riesce ancora ad intravedere una possibilità di uscita definitiva, mentre sembra certo che tanto sangue innocente sia ancora destinato ad essere versato nelle terre che gli ossessi del Califfo continuano ad ingoiarsi, avvantaggiati dai dubbi e dalle rivalità interne al fronte dei loro avversari.
   "Contre nous de la tyrannie l'étandard sanglant est levé", si cantava sulle note della Marsigliese, lo stendardo sanguinante della tirannia è alzato contro di noi.
   Ed era da molto tempo che una tirannia così sanguinaria ed internazionalmente pericolosa come quella che si ammanta di quelle bandieracce nere non si vedeva fiorire sotto il sole.
   Speriamo che ci se ne renda conto prima che sia troppo tardi.
Tommaso Pellegrino

lunedì 12 gennaio 2015

PARIGI BRUCIA?

   Parigi brucia? La domanda, che coincide con il titolo di un famoso vecchio film sugli ultimi giorni di occupazione  nazista della capitale francese prima della liberazione dell'agosto '44, allorchè Hitler dispone che la città sia interamente incendiata, e che è appunto quella che il dittatore tedesco stesso rivolge al governatore militare germanico Von Choltitz per accertarsi che tale ordine sia stato eseguito (per fortuna non lo è stato), è venuta in mente spontanea in questi giorni di sangue sotto la Tour Eiffel, che hanno visto, nell'ordine, una strage di vignettisti nella sede di un giornale satirico, un'altra sparatoria per strada, con una poliziotta rimasta uccisa, l'asseragliamento degli assassini dei vignettisti in una tipografia poco fuori Parigi, con conseguenti lungo assedio ed uccisione finale degli stessi da parte delle "teste di cuoio" francesi e, per finire, altro barricamento, con presa di ostaggi, di un terrorista in un supermercato ebraico della capitale ed ennesimo epilogo della vicenda nel sangue (quello del terrorista).
   La strage di dodici vittime, tra vignettisti ed altre persone presenti, nella sede del giornale "satirico" "Charlie Hebdo" il 7 gennaio, ad opera di individui bene armati ed apparentemente bene addestrati, al grido ormai tristemente familiare di "Allah u akbar", ha lasciato esterefatta l'opinione pubblica come una sorta di nuovo "11 settembre" europeo. C'è stato chi ha detto che i redattori del settimanale satirico se la sarebbero addirittura "cercata", in quanto il bliz terrorista giungeva in risposta ad alcune vignette estremamente irriguardose (anzi, diciamolo, blasfeme) nei confronti dell'Islam e del suo "Profeta" da essi pubblicate.
   In effetti, è impossibile non riconoscere, con tutto il rispetto per dei morti che mai comunque avrebbero meritato un simile destino, che "Charlie Hebdo" era, ed è, un giornalaccio non di critica civile, nè di satira intelligente, conscio di quali siano i limiti, se non altro di buon gusto, da possibilmente non superare, ma di sparo a zero alla cieca contro tutto e tutti, non di rado con una volgarità ben difficilmente egualiabile ed un'offensività blasfema contro tutte le religioni anch'essa con poca concorrenza sulla piazza, nella più totale ignoranza anche dell'elementarissima regola della "tua libertà che finisce dove inizia quella degli altri".
   Che la libertà di espressione (intendiamoci, essenziale ed irrinunciabile pilastro di ogni vera democrazia) sia proprio assoluta, che cioè non trovi limiti neppure nel diritto a non essere offesi nelle proprie sensibilità più sacre, religiose, patriottiche o morali, mi pare evidente che non sia ammissibile.
   Di offendere gravemente il sentimento religioso altrui di qualunque fede, in particolare, nessuno può poi rivendicare il diritto: se esso è autentico (così è, almeno, nel caso dei cattolici, ma penso anche delle altre fedi), non dimentichiamoci che riguarda la devozione verso un Essere Superiore che il credente pone addirittura al primo posto nella propria vita, prima degi stessi propri cari e di qualsiasi altro soggetto terreno. Giusto sarebbe quindi che la bestemmia fosse reato (un tempo, in Italia, lo era, ora non so se lo sia ancora, ma, qualora più non lo fosse, si trattrebbe di un grave passo indietro della civiltà e non certo in avanti, come qualche "libertario" dei miei stivali probabilmente sosterrebbe), giuste ogni protesta e denuncia cattoliche (per quel che possano servire) per le vignette vergognosamente blasfeme contro quanto a noi vi è di più sacro, e giustissima, ed appoggiabile tranquillamente da parte di ogni persona di buon senso anche non seguace di quel credo, sarebbe stata qualsiasi iniziativa o dimostrazione legale e pacifica dei fedeli musulmani contro "vignette" anti-islamiche che hanno decisamente passato ogni limite della scusabilità e della decenza, come quella che dichiarava essere il Corano, senza mezzi termini, fatto di m...
   Sbagliato, sbagliatissimo, anzi disumano ed orrendo, è stato invece reagire a simili offese con lo sterminio fisico dei responsabili, il cui innegabile "coraggio" per essersela presa, sul loro fogliaccio, non soltanto con i sempre imbelli e menefreghisti cattolici, il che non comporta notoriamente alcun rischio, ma anche con i seguaci di Maometto, i quali, si sa, un po' di suscettibilità in più ce l'hanno, ha fatto di essi i martiri ideali in nome della libertà di satira (beninteso essenziale, quando intelligente e di buon gusto), dando un completo colpo di spugna sui loro passati comportamenti non sempre proprio nobili, di fronte allo choc di una simile tragedia, che non può in ogni caso trovare giustificazioni e che getta nell'ansia e nella paura, per la piega che potrebbero prendere i fatti, un'intera Nazione ed il mondo intero.
   Parigi ha bruciato per un paio di giorni; il pericolo che possa farlo ancora, o che nuovi "incendi" possano interessare altri luoghi , dentro o fuori la Francia, è concreto. Analizzare cause di ciò e possibili ricette per evitare altre tragedie sarebbe troppo lungo e soprattutto troppo arduo. Importante sarebbe che la si smettesse  con le solite trite e ritrite retoriche e luoghi comuni su integrazioni, Islam "moderato", Islam "religione di pace" contrapposta a terroristi che non avrebbero nulla ache fare con essa. E si prendessero invece seriamente in considerazione elementi come lo stato in cui hanno finito per ridursi il nostro senso di appartenenza europea ed occidentale ed il nostro orgoglio per le radici cristiane, come i disagi dei nostri giovani di fronte ad una società forse non più in grado di dar loro ciò di cui sentono veramente il bisogno, come possibili strategie autenticamente efficaci per porre fine all'immane dramma che si sta consumando in Medio Oriente senza che si profili ancora all'orizzonte una qualche soluzione
   Sarebbe già un bel passo in avanti, o almeno no indietro.

Tommaso Pellegrino