giovedì 20 novembre 2014

TERRORISTI "DELLA PORTA ACCANTO": PERCHE' UNA SMILE SCELTA?

   Sono migliaia, ormai è accertato, gli uomini provenienti da paesi lontani dal teatro degli scontri arruolatisi nello spietato esercito dell'ISIS, il sedicente "Stato islamico" che combatte per invadere ampi territori di Iraq e Siria, terrorizzando ed uccidendo chi incontra sulla propria strada, decapitando prigionieri ed imponendo conversioni all'Islam (beninteso il "loro" Islam) o perpetrando altri tipi di soprusi.
   Sono migliaia, e la stragrande maggioranza di essi  è partita dall'Europa o dal Nord America o da aree comunque appartenenti al "primo mondo" ricco, sviluppato e, in teoria, "cristiano". Si tratta per lo più di immigrati di seconda o terza generazione da paesi islamici, o addirittura di occidentali "doc" passati armi e bagagli con i peggiori nemici della loro stessa gente quasi inspiegabilmente, come questi due bei tomi di Nasser Muthana e Maxime Hauchard, rispettivamente un immigrato di seconda generazione nel Galles ed un autentico francese nato cattolico e poi convertitosi al credo di Allah nella versione ultraradicale praticata dall'ISIS; insomma: due classici giovani "della porta accanto" che diresti perfettamente integrati in questo mondo dell'opulenza (crisi o non crisi non saranno mai neppure lontanamente paragonabili le condizioni di vita in queste regioni della Terra con quelle di chi ne è fuori), di ogni sorta di diritto garantito, di condizioni di "pace" date quasi per scontate.
   Invece dobbiamo seriamente interrogarci su quali responsabilità possa avere proprio questa nostra bella "società" nello scattare di una simile molla  nelle teste di giovani che ci sembrerebbe non potessero desiderare di meglio dalla vita e dall'ambiente in cui sono cresciuti.
   Naturalmente non sono mai giustificabili scelte criminali, nè si può negare che i paesi del cosiddetto "nord del mondo" rimangano comunque di gran lunga oggettivamente i migliori in cui nascere e vivere sotto ogni punto di vista, o che il benessere derivato dal progresso tecnologico e dalle possibilità di scelta sul mercato, così come le libertà individuali e i diritti civili garantiti dai sistemi liberali, siano beni di un valore inestimabile, checchè possano dirne i sognatori di utopistiche "decrescite" o di romantici ritorni a circostanze e stili di vita propri di un passato non più riproponibile.
   Tuttavia non bisogna neppure sottovalutare il rovescio di questa apparentemente irreprensibile medaglia: innanzitutto il materialismo, cosciente o meno, cui ci ha portato l'avere ormai superato, come società, ogni problema per il procacciamento di quanto primariamente necessario alla vita e quindi una continua tensione mirante solo alla ricerca del sempre più superfluo; la generale perdita del senso di appartenenza ad una grande civiltà, della conoscenza delle sue radici e del culto delle sue tradizioni, per appiattirsi su mode mentecatte fatte apposta per chi è disposto a rinunciare a far funzionare autonomamente ciò che gli riempie la scatola cranica, distinguendosi da una massa amorfa fatta solo per essere di fatto sottomessa e manovrata senza che essa stessa neppure se ne accorga. E poi la mancanza di scopi autentici e vitali per cui lottare, che ha portato noi popoli gonfi di benessere a soddisfare il bisogno fisiologico umano di combattere comunque sempre per qualcosa lanciandoci in "battaglie" deficienti come l'animalismo o l'ambientalismo esasperati e fanatici, mentre veri valori tradizionali sono andati persi di vista alla grande, nel rilassamento dei costumi generale e nel rammollimento in cui è inesorabilmente precipitata l'attuale società occidentale: il senso civico, il senso dell'autorità, della famiglia, della Patria, Patria che riassume poi il patrimonio comune di tutti noi, le nostre istituzioni e la nostra stessa libertà, circa i quali dobbiamo essere consci che sono sempre in potenziale pericolo e che vanno difesi con qualunque mezzo proporzionato alla minaccia; e invece tendiamo a credere che la "pace" sia un bene acquisito una volta per sempre e sembriamo ancora gli eredi di quei poveri di spirito (non in senso evangelico, e quindi non "beati") che, trenta e passa anni fa, starnazzavano "meglio rossi che morti", ovvero: meglio perdere la libertà e la dignità sotto i colpi di un invasore (all'epoca i "rossi", cioè i comunisti) piuttosto che difenderle con le unghie e con i denti, se occorre, in una giusta guerra di difesa (che, ovvio, qualche "morto" sul terreno mica può evitare di lasciarlo), come sarebbe nel più naturale e genuino ordine delle cose, tra uomini e popoli degni di tali nomi.
   A tutto questo decadimento, duole ammetterlo, ha contribuito non poco anche la stessa Chiesa cattolica, un tempo portabandiera fiero e sicuro dei valori religiosi, filosofici e morali che hanno fatto grande la civiltà dell'Occidente, ed oggi non più sempre altrettanto ferma nel sostenerli con uguale coerenza, assumendo troppe volte atteggiamenti non netti, fatti per piacere un po' a tutti, assecondanti quella rinuncia alla difesa virile della propria identità e dei propri eterni valori pur di non guastare un comodo e codardo quieto vivere, puramente materiale, con tutti, che ci illudiamo possa essere la vera condizione ottimale di vita, poichè, come scrive Roberto de Mattei, "chi professa l'ecumenismo e il pacifismo a oltranza dimentica che esistono mali più profondi di quelli fisici e materiali, e confonde le conseguenze rovinose della guerra sul piano fisico con le sue cause, che sono morali e risalgono alla violazione dell'ordine, in una parola a quel peccato che solo può essere sconfitto dalla Croce".
   A questo punto è doveroso chiedersi che può fare, e a quali pericoli può andare seriamente incontro, una persona, specie se giovane, che sentisse anche solo confusamente il disagio di appartenere ad una società in deficit di spiritualità, senza più punti di riferimento certi nè l'energia di operare fermamente per qualcosa in cui si crede. Semplice: rischia di approdare, per sfuggire ad un eccesso, all'eccesso opposto, se non è possibile una giusta ed equilibrata scelta di mezzo, vale a dire di lasciarsi alle spalle un contesto che non dà più alcuno spazio ad idealismo ed affermazione di un'identità per un altro che invece ne dà troppo.
   E' quello che hanno fatto questi figli che la nostra società ha cresciuto credendo che omogeneizzati, videogiochi e musica rock fossero tutto ciò di cui chi nasce nella parte più privilegiata del pianeta abbia bisogno; invece loro, ciò di cui sentivano davvero la mancanza, sono andati a cercarselo nel più tragico e distruttivo dei modi.
   A noi il compito di riflettere su quali siano le nostre responsabilità collettive per il punto a cui si è giunti, e su cosa si possa fare per porvi almeno parzialmente rimedio, qualora ancora si sia ancora in tempo.

Tommaso Pellegrino




 


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