giovedì 17 maggio 2007

I RINFORZI NON POSSONO PIU' ASPETTARE!

E' innegabilmente ora che il governo italiano (insieme anche ad altri governi, beninteso) prenda atto che, sul fronte afghano, si è giunti ad un momento cruciale e che non è più possibile nascondersi dietro il dito della finzione che tutto sia rimasto come quando, ormai pare un secolo fa, pareva che il più fosse effettivamente fatto, sulla strada della eliminazione totale della minaccia talebana con lenta, ma tutto sommato serena, costruzione di un nuovo Afghanistan autenticamente democatico, e che la presenza militare occidentale fosse ormai necessaria quasi esclusivamente per un'opera di vero e proprio peacekeeping, in un classico contesto di indubbia prevalenza degli aspetti più propriamente "umanitari" e di assistenza della missione e di scarsa probabilità di brutte sorprese o colpi di coda da parte di avversari apparentemente già privati di gran parte delle proprie potenzialità offensive.
In realtà, dobbiamo ricordare che tutto il coinvolgimento dell'Occidente (in pratica della NATO) in quell'area è cominciato non con la messa in piedi di una tipica spedizione multinazionale "di pace", come quelle che di solito si mandano ad interporsi neutralmente tra due contendenti già stipulatori di una tregua, bensì con un'azione che costituiva il primo caso, nella storia pluridecennale dell'Alleanza Atlantica, di reazione armata congiunta da parte di tutti gli stati membri, sulla base dell'articolo 5 del Trattato, in seguito all'attacco subito da uno di essi. E si trattava della dstruzione, con migliaia di vittime civili, delle torri gemelle newyorkesi ad opera di un'organizzazione di terroristi apertamente ospitata e protetta dallo stato talebano dell'Afghanistan.
Alla partecipazione all'operazione alleata, non "di pace" in senso tradizionale, ma di adeguata risposta ad una vera e propria dchiarazione di guerra lanciata all'Occidente dall'Islam più fanatico ed integralista, denominata "Enduring Freedom", non si sottrasse ovviamente, con sostanziale concordia di quasi tutte le forze politiche, neppure l'Italia, che inviò una piccola flotta nelle acque interessate e, in seguito, anche un contingente di terra "combattente", oltre a quello di peacekeeping inquadrato nell'ISAF.
Ora, il fatto che, per lungo tempo dopo l'abbattimento del vecchio regime di Kabul, la situazione di calma apparente creatasi a causa della fresca sconfitta militare subita dall'avversario, non ancora riorganizzatosi, ci abbia fatto illudere di stare ormai partecipando a tutt'altro genere di missione non ci autorizza a negare ostinatamente l'evidenza e a dimenticare, oggi che la minaccia è tornata intensissima, quello spirito originario del nostro intervento, a fianco dei nostri alleati, in quelle lontane terre bisognose di vera pace e di libertà.
Non possiamo rimanere fuori dagli eventi neanche volendolo, poichè, per dirla con un uomo dello stesso governo, anche se non ci cercheremo i guai saranno essi a trovare noi, e lo stillicidio di feriti (anche se fortunatamente, per il momento, leggeri) di questi ultimi giorni sembra dargli purtroppo ragione.
Possiamo e dobbiamo fare la nostra parte, ma almeno i mezzi di rinforzo, i "Mangusta", i "Predator" e tutto il resto, vanno inviati senza più perdere un minuto di tempo.
E' il normale comportamento, in simili frangenti, di governanti che tengono innanzitutto alla vita dei propri uomini, anche se la salvaguardia dell'immagine internazionale del proprio Paese, ultimamente tanto compromessa, non deve certo essere messa in secondo piano.

Tommaso Pellegrino

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