sabato 12 giugno 2010

I 150 ANNI DELL'UNITA' D'ITALIA? CELEBRIAMOLI, ECCOME, MA SENZA TACERE DI CIO' CHE AVREBBE POTUTO ESSERE E NON E' STATO.


"Unità d'Italia e coesione sociale non significano centralismo e burocratismo", ha dichiarato il Capo dello Stato Napolitano domenica 6 giugno a Santena (Torino), in occasione del bicentenario della nascita del conte Camillo Benso di Cavour, il principale artefice di quell'Unità d'Italia di cui molti oggi si chiedono persino se sia il caso o meno di celebrarne il 150° anniversario, e quasi rispondendo a quanti tale domanda sembrano porsi con maggiore insistenza e, a volte, neppure troppo celati secondi fini politici.

Il fatto che non tutti sentano la necessità di festeggiare l'evento, a dire il vero, non stupisce più di tanto, in un Paese che non riesce a trovare una ricorrenza nazionale in cui realmente riconoscersi per intero, che continua ad avere un 25 aprile "di sinistra", un 4 novembre "di destra" e le idee più coloritamente confuse su quale possa essere la "Patria", o comunque la comunità umana, di cui sentirsi davvero parte integrante senza riserve, con il cuore e con la mente.

L'Unità d'Italia, così come fu conseguita nel 1861, presenta tuttavia caratteri particolari: si trattò della proclamazione, da parte del Parlamento di Torino nel marzo 1861, del Regno d'Italia per cambio di denominazione di quello di Sardegna, in seguito alle annessioni, tramite plebisciti, delle terre del Mezzogiorno conquistate soprattutto dall'azione di Garibaldi, le quali, andando ad aggiungersi a quelle precedentemente acquisite di Lombardia, Toscana, Emilia -Romagna ecc., portavano finalmente il dominio sabaudo ad estendersi dall'estremo nord all'estremo sud di quella realtà geografica ed umana da sempre riconosciuta appunto come Italia, a prescindere dalla sua mai veramente attuata unità politica.

Era però un'Italia ancora incompleta, mancando all'appello Roma e vaste porzioni del nord-est; e così quella svolta, sempre considerata (non certo a torto) più un punto di partenza che non di arrivo, finì per essere oscurata, nell'immaginario collettivo e nelle celebrazioni ufficiali, da altri avvenimenti quali la presa di Roma del 1870 o la vittoria definitiva sull'Austria del 1918, maggiormente riconosciuti, a seconda delle scuole di pensiero, come i veri atti conclusivi del processo risorgimentale e coronamenti del sogno dell'unità nazionale. A maggior ragione in epoca repubblicana, poi, quello che pareva quasi soltanto il trionfo militare di una casa regnante, in seguito bollata, almeno dalla predominante "vulgata", come corresponsabile di vent'anni di dittatura fascista e, alla fine, affogata nella vergogna dell'8 settembre 1943, deve essere sembrato cosa ancora più piccola e parziale, in confronto al raggiungimento della Repubblica quale autentico suggello dell'edificazione dell'Italia moderna e democratica. Dell'Unità d'Italia proclamata nel 1861 ci si ricordò quindi ancora ogni cinquant'anni, con le grandi manifestazioni celebrative del 1911 e del 1961, ma poco di più.

Eppure, è proprio l'Unità d'Italia, comunque realizzata, la condizione indispensabile non solo affinchè si potesse approdare al Paese repubblicano qual'è oggi, ma anche perchè ci si potesse a suo tempo integrare in Europa ed aspirare, ora, ad un giusto federalismo rispettoso tanto delle esigenze peculiari di ogni parte della Nazione come delle "unità e coesione" sottolineate dal Capo dello Stato. Gli staterelli italiani preunitari come avrebbero mai potuto continuare ad esistere disuniti di fronte al mondo che, tra Ottocento e Novecento, prendeva a cambiare a velocità iperbolica?

L'idea che, nel centocinquantenario, non ci sia "proprio nulla da celebrare" è tipica espressione della tradizionale tendeza all'autodenigrazione degli italiani e non è degna di un popolo che, nel ricordo delle tappe fondamentali della propria storia, deve trovare l'ispirazione per sentirsi tale ed affrontare compatto anche le sempre meno facili sfide dei tempi odierni.

Su come poi questa benedetta Unità d'Italia si sia praticamente realizzata, sul perchè sia alla fine prevalso un modello di stato centralista anzichè uno federale, certo più adatto ad un Paese con storia e tradizioni diverse da luogo a luogo come il nostro, sulla scarsa partecipazione di popolo alle lotte risorgimentali e sull'impatto spesso traumatico dell'unificazione su intere popolazioni, fino alle stragi inaudite perpetrate dal nuovo ordine costituito nel nome della cosiddetta "repressione del brigantaggio", la discussione può, anzi deve, essere aperta: no ad una pura e semplice celebrazione retorica e acritica di un mito, stile testi scolastici accompagnanti generazioni e generazioni di nostri scolari, si a festeggiamenti arricchiti da opportuni approfondimenti su aspetti magari poco conosciuti di quella fase cruciale della nostra storia recente, sulle occasioni mancate per pervenire a risoluzioni della questione dell'unità e dell'indipendenza italiane che si sarebbero forse rivelate migliori di quelle poi effettivamente adottate.

Così si potrebbe scoprire, ad esempio, che l'idea di un'Italia federale anzichè centralista, oltre che animare, come noto, patrioti-pensatori di grande cervello, ma con scarso potere pratico, quali Cattaneo o Gioberti, non dispiaceva neppure allo stesso conte di Cavour, comunemente dipinto, esaltando o deprecando ciò a seconda delle proprie opinioni, come il paladino dell'Unità dItalia intesa come conquista dell'intero Paese da parte delle armi sabaude. Invece, come risulta dall'esame degli accordi presi da lui e da Napoleone III a Plombières, pocoo prima dello scoppio della Seconda Guerra d'Indipendenza, al premier piemontese sarebbe bastata l'estensione del dominio diretto dei Savoia, a spese dell'Austria, alla sola Italia settentrionale (la "Padania", guarda caso!), mentre, per il centro Italia, ci si accordava per la creazione di un regno da affidare probabilmente ad un parente dell'imperatore francese e, riguardo al sud, per il mantenimento al potere dei Borboni, se solo questi avessero riconcesso la costituzione e aderito al progetto di federazione dei tre regni italiani sotto la presidenza onoraria del Papa, il quale sarebbe così anche stato compensato per la perdita di talune parti delo Stato Pontificio di prevista assegnazione alle Due Sicilie.

In quale tutt'altra maniera si svolsero poi le cose è noto: contattato da un emissario di Cavour poco prima della spedizione dei Mille, il bigottissimo re di Napoli Francesco II rifiutò la suddetta soluzione per non intaccare i territori papalini; Garibaldi portò fulmineamente a termine la sua impresa più celebre ed il Piemonte cavouriano fu costretto ad intervenire per non perdere il controllo della situazione, annettendosi poi plebiscitariamente le regioni meridionali italiane.

Neppure nella primavera del 1861, tuttavia, cioè ormai immediatamente a ridosso dell'unificazione, poteva dirsi del tutto accantonata ogni aspirazione ad uno stato maggiormente basato sulle autonomie locali: il ministro degli Interni Minghetti presentò infatti, allora, un progetto di legge circa un ampio decentramento ai comuni che solo le sopraggiunte notizie delle prime rivolte scoppiate nel meridione, ed il timore che di troppa autonomia potessero approfittare i notabili borbonici per riprendersi il potere, gli indussero a ritirare, aprendo così le porte all'affermazione di un sistema più rigidamente centralistico.

Il centocinquantenario dell'Unità nazionale, da celebrarsi senza disconoscere stupidamente la fondamentalità di una tappa comunque inevitabile del nostro cammino, ma pure senza sottrarsi, nascondendosi dietro a comode retoriche preconfezionate, ad una severa riflessione sulle luci e sulle ombre del lungo processo storico che ad essa condusse, sulle cose che si sarebbero potute fare e non si fecero, o che si sarebbero potute evitare e non si evitarono, può essere davvero l'occasione per rinsaldarci come popolo e ricavare così l'energia per affrontare, oggi, quelle riforme e quei progressi che completerebbero l'opera dei nostri padri.

Tommaso Pellegrino

4 commenti:

PensieroLiberale ha detto...

Ciao.
Innanzitutto mi scuso per il ritardo con cui contraccambio la gentilezza della visita.
Come hai già rilevato tu abbiamo diversi punti in comune e quindi proporrei uno scambio di link.
Devo aggiungere che per me è un piacere seguirti perchè mi sembra evidente il tuo spessore.
Penso di aver avuto la fortuna di essere stato notato da un personaggio dal quale c'è solo da imparare e dunque non mi lascio di certo sfuggire l'occasione.
Infine dico la mia sul tema da te proposto.
L'Unità d'Italia ha avuto tanti punti oscuri, ha causato molti drammi( segnalo tra le altre cose un'emigrazione consistente, tema a me molto caro avendo lavorato molto sull'emigrazione italiana) ha dato origine a tante polemiche che purtroppo sono ancora in gran parte vive, non ha risolto certi problemi e ne ha fatto nascere di nuovi, è stata fatta in modo cruento, seguendo strategie spesso errate...
Tuttavia l'Unità d'Italia ha anche un grosso merito.
Grazie ad essa in questo Paese si è potuto parlare concretamente di libertà in ambito religioso.

A presto.

Francesco.

http://pensieroliberale.ilcannocchiale.it

Tommaso Pellegrino ha detto...

Ti ringrazio molto, Pensiero Liberale, per la tua visita ed i tuoi apprezzamenti. Mi fai quasi arrossire qualificandomi quale personaggio "di spessore" e dal quale "c'è solo da imparare". In realtà, cerco soltanto di portare avanti un certo discorso, per quanto posso, con umiltà e, soprattutto, con onestà. Comunque mi fa tanto piacere ciò che hai scritto.
Arrivederci a presto.
Tommaso Pellegrino-Torino

marshall ha detto...

Questo me l'ero perso.
Dal titolo - "...senza tacere di ciò che avrebbe potuto essere e non è stato" - dev'essere un post straordinario.

Angelo D'Amore ha detto...

per noi meridionali, e' stata una scuagura, un vero guaio passato.
con i borbone, eravamo primi in tutto, le nostre casse erano floride, eravamo davvero epicentro strategico, commerciale e politico del mediterraneo.