Ho finora evitato di prendere posizione sulla drammatica vicenda di Eluana Englaro per una molteplicità di motivi.
In primo luogo, per il rispetto che andrebbe comunque tributato ai protagonisti di simili tragedie, tanto profondamente umane e tanto diverse dalle questioni, solitamente a carattere politico o storico, a proposito delle quali chi mi conosce sa che sono invece sempre ben pronto a lanciarmi in ogni disputa con la mia consueta mancanza di preconcetti e peli sulla lingua. In secondo luogo perchè, contrario ad ogni pratica di accanimento terapeutico non meno che a quelle in cui una vita umana di per sè in grado di proseguire il suo corso senza l'aiuto artificiale di fantascientifici macchinari viene soppressa (vedi quindi aborto, eutanasia, pena di morte ecc.), non mi ero ancora del tutto convinto del fatto che quel "nutrimento" costantemente somministrato ad Eluana - non certo a base di pane e salame, bensì di chissà quale pozione preparata da personale medico altamente specializzato ed introdotta nel corpo tanto invasivamente con un sondino - non costituisse, dopotutto, proprio una sorta di accanimento terapeutico, più che un semplice dare da mangiare e da bere ad una donna si affetta da gavissima disabilità, ma con organi vitali perfettamente in grado di funzionare da soli senza ausilii "meccanici", ovviamente a condizione, come avviene per tutti noi, che la persona venga in qualche modo nutrita ed idratata.
In più, ad aumentare la mia perplessità, c'era quella sentenza della Cassazione che autorizzava la sospensione del trattamento alla paziente, di fronte alla quale mi era difficile credere che lo stato stesse avallando, in quel modo, una vera e propria eutanasia; quindi qualcosa doveva per forza sfuggirmi.
Ora, tuttavia, con l'avvio dell'atto finale della vicenda, e quindi con l'intensificarsi del dibattito e delle manifestazioni attorno alla casa di riposo teatro dell'evento "La Quiete" (il cui nome suona, a questo punto, oltremodo ironico), nonchè dei tentativi di ogni genere per cercare di fermare tutto in extremis, qualcosa comincia ad apparire sotto una luce più chiara.
Si: non c'è più alcun dubbio che in quella struttura udinese si stia consumando un omicidio. Un omicidio del tutto particolare, intendiamoci, con moventi che affondano le radici in indescrivibili travagli d'animo e sofferenze nelle decisioni da prendere, un omicidio per certi versi simile a quello che commette la donna che abortisce e non ai delitti, per dire, di mafia, ma pur sempre un omicidio, e non il semplice stacco della spina a macchinari sofisticati che fanno funzionare organi vitali altrimenti già da tempo non più in grado di farlo.
Si è voluto giustificare l'avallo giuridico riconosciuto a questa drastica soluzione sbandierando una "presunta" volontà della paziente di rifiutare una vita nello stato vegetativo di questi ultimi diciassette anni: ella avrebbe cioè assistito, prima di finire lei stessa nelle medesime condizioni, alla vicenda di un caro amico ridotto in quello stato in seguito ad un incidente, e si sarebbe fatta promettere di non essere lasciata vivere in quello stato qualora a lei fosse toccata la stessa sorte.
Ma, domineddio, chi di noi non si è mai lasciato andare ad espressioni del genere, o anche ad altre ancora più "forti", sull'onda delle emozioni provocate da una tragedia capitata a persona cara, non essendo tuttavia, in quel momento, neppure sfiorati dall'idea che davvero quello stesso fatto stesse per colpire anche noi a breve termine? Chi può dire che tale sarebbe ancora oggi, oggi che si trova effettivamente in quella terribile circostanza, il reale desiderio di Eluana, che lei ovviamente non può esprimere?
La contrapposizione tra chi propugna la sospensione del trattamento nutritivo alla donna e chi lotta per la salvezza della stessa non si traduce, come è stato detto e scritto da più parti, nello scontro tra "laici" e cattolici. Da liberale sostenitore dello stato laico e della laicità in politica, anche se intimamente cattolico, dico che provocare la morte di un essere umano interrompendo quella nutrizione che rappresenta la sola condizione affinchè esso possa continuare a vivere, sebbene in condizioni di estrema invalidità, dovrebbe andare contro lo stesso diritto naturale, a prescindere assolutamente da qualsivoglia convinzione religiosa.
Se del terribile vuoto legislativo esistente in Italia in materia di comportamenti da tenersi nei confronti di quelle persone che si trovano purtroppo in vario modo intrappolate in quella sorta di ampia "zona grigia" che sta tra la vita e la morte (dai vari gradi di coma alla morte cerebrale) qualcuno ha saputo approfittare per dare una specie di legittimità ad azioni aberranti, sta ora agli organi competenti, Governo e Parlamento, fare di tutto per porvi rimedio con un'urgenza senza precedenti.
Ed è quello che sembra stiano effettivamente facendo.
Nell'attesa, per carità, interrompete quell'interruzione.
Tommaso Pellegrino
lunedì 9 febbraio 2009
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2 commenti:
Putroppo tutte le parole e discussioni sono state inutili e Eluana è morta tra le pieghe della legge che non esiste.
La corsa contro il tempo della maggioranza, anche molto politicamente pesata, non è riuscita a fermare "omicidio" i cui colpevoli sono da cercare in molte persone.
E poi colpa di chi...il presidente Napolitano, ha voluto essere un serio burocrate che ha messo in pratica solo i dettami della corte costituzionale..assumendo che questo non era un caso particolare e urgente (la morte doveva aspettare che il parlamento, normalemante con movimenti pachidermici, scriverva la legge sul fine vita). Legge che sta raccogliendo favori da entrambi gli schiaramenti, perchè questa non è politica e senso civico e interiore.
Ora speriamo che si riesca a varare la legge e che non vi siano nuove "eluane"
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